Mastodon – Leviathan

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In un periodo così particolare e al contempo cruciale per la scena metal odierna (e mi riferisco almeno agli ultimi dieci anni), da tempo malata di decrepitudine cronica e basata sempre più su anacronistici schemi auto-derivativi, appare scontato e in ogni caso coerente il clamore suscitato dall’uscita di un disco come Leviathan. I quattro rockers di Atlanta ne hanno fatta di strada dall’ esordio a (doppio) 45 giri e questo nuovo lavoro (che, tanto per la cronaca, è valso loro il passaggio alla Warner), si manifesta epico e titanico sin dalla copertina: va precisato infatti che di concept album si tratta, essendo i testi liberamente ispirati alla saga di Moby Dick, il popolare romanzo dello scrittore statunitense Herman Melville. Quel che colpisce, già ad un primo superficiale ascolto, è la palese riluttanza del gruppo ad uniformarsi a canoni metal già abusati in passato; o meglio, se l’influenza del Bay Area e di certo prog è innegabile, il risultato è tuttavia uno stile del tutto particolare e veramente personale, nel quale convivono accorgimenti mutuati da un ampio ventaglio di generi (Hard, Stoner, Psichedelia, Thrash, Metalcore….), filtrati a dovere secondo l’ottica dei quattro e messi al servizio di notevoli capacità strumentali. Che Leviathan sia un crescendo, un viaggio, non è un mistero. Avrebbero potuto pubblicarlo in un’unica lunga traccia al fine di favorire quel riuscito continuum musicale che riesce a creare con il suo groviglio di intenti sanguinari (“Blood & Thundher”,”Island”), spunti narrativi ben sviluppati e piani sequenza (“Seabeast”, “Hearts alive”) o semplicemente riflessività piana (“Joseph Merrick”). Elencare in questa sede la perizia tecnica e le intuizioni rivoluzionarie attraverso le quali tutto ciò è messo in atto sarebbe inutile ed inviso ad un legittimo primo ascolto: vi bastino la segnalazione delle sfolgoranti melodie (si, avete capito bene!) in crescendo di “Seabeast” e “Naked Burn”, la matrice marcatamente post-core della seconda facciata del disco (l’eredità Neurosis si sente, e il duetto con S. Kelly in “Aqua Dementia” è li a suggellare il patto), il martellare thrash di “Island” e la sconcertante, immensa “Megalodon”. La balena è il simbolo, l’ossessione innata che è dentro di noi e verso la quale tutti tendiamo per natura: Leviathan ci racconta una storia e al tempo stesso ci lancia imperiosi moniti. Ascoltatelo e metabolizzatelo a dovere, fatelo vostro: non ne potrete più fare a meno.