Basile, Cesare – Hellequin Songs

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:

Premetto subito che questa non vuole essere una recensione, ma un elogio vero e proprio a Cesare Basile, sempre più grande escluso della musica cantautoriale del secondo millennio. Incredibile a dirsi, ma Basile è capace di scrivere solamente capolavori: che tessano storie all’incrocio di vie tra la Sicilia e l’America (come successe in Gran calavera elettrica), che abbiano il savoir fare di un blues d’aspetto bohemien (Closet meraviglia), che siano semplicemente il punto d’incontro tra folk italiano e rock (La pelle e Stereoscope) ogni disco del musicista catanese è un evento da aspettare e godere fino all’ultima nota. Ovviamente Hellequin songs non fa alcuna eccezione, tanto che si può comodamente affermare che non è il suo miglior disco solo perché nella sua carriera non ce n’è uno neanche mediocre. Quattordici storie completamente vestite di nero, quattoridici elementi di un armata raccolta in giro per il mondo dai contorni e la fine ben definita, quattordici inquietudini vaganti sui campi di battaglia della terra, quattordici anime in attesa di una preghiera che mai arriverà, Cesare Basile regala al Limbo la fisicità di un disco di plastica sintetizzandolo in quattordici blues dai toni oscuri, dimessi, perfetti, regalando la voce ai caduti di battaglie ordinarie, novelli figli di un abominevole teatro dell’assurdo. “Ero solo distratto, questo basta all’inferno.”