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A pochi mesi di distanza dall’acclamato “Citizen Cain’d”, doppio album in grado di unire finalmente giudizi critici spesso discordi riguardo alle sue ultime, controverse opere, l’Arcidruido più illustre del rock dà nuovamente alle stampe un nuovo doppio, stavolta disponibile solo attraverso il sito internet della Head Heritage. “Dark Orgasm” è il titolo della nuova opera di Julian Cope, che ancora una volta ci presenta un album variegato e schizoide, forse disomogeneo in apparenza ma in realtà un ricco omaggio a tutto quanto ha ispirato la musica dello sregolato genio gallese. Pagano, blasfemo, femminista (sì, avete capito bene), antireligioso, punk, garage, acido, psichedelico… di aggettivi per definire “Dark Orgasm” ce ne sarebbero a bizzeffe. In realtà si potrebbe benissimo definire quest’album come la perfetta sintesi fra quanto di meglio fatto da Julian in quest’ultimo decennio, controverso quanto si vuole ma ad ogni modo ricco di progetti più o meno validi, dagli ottimi Brain Donor col fido Doggen ai più stucchevoli episodi ambient/industriali della serie “Rite”. “Dark Orgasm” presenta momenti dark mistici (l’opener “Zoroaster”, uno dei migliori brani mai composti da Copey), espliciti omaggi agli Stooges e al garage rock anni ’60 (“White Bitch comes good” e “Mr.Invasion”), momenti ora squisitamente punk registrati dal vivo (“Nothing to lose except my mind”) ora sospesi fra psichedelia e blues (“I’ve found a new way to love her”) e ora ancora un piccolo grande tributo ai Doors (“I don’t wanna grow back”), per poi concludere il tutto in grande stile con una sarabanda acid-prog-psichedelica simbolicamente chiamata “The Death and Resurrection Show”, forse la prima valida concretizzazione delle idee che hanno dato vita ai vari “Rite”. Tre quarti d’ora o poco più in cui Julian Cope ci porta spasso per la storia del rock, un viaggio breve ma diabolicamente intenso, dal taglio e dalla produzione retrò, ma non per caso o demerito del nostro. A questo punto, probabilmente vi starete chiedendo se ho sbagliato a scrivere “doppio album” all’inizio di questa recensione, visto che di spazio per registrare su CD ve ne sarebbe ancora… ma chi già ha ascoltato “Citizen Cain’d” avrà capito che Julian divide i brani secondo una sua idea ben precisa, legata ancora a un’ottica da vinile. Col buon gusto però di far pagare il tutto al prezzo di un album singolo, e per giunta ben confezionato. No, non è da tutti e ancora una volta non si può che apprezzare la scelta di vita artistica di Saint Julian, che forse non darà sempre alla luce dei capolavori ma si pone come modello di eclettica indipendenza artistica per chiunque. Fermo restando che “Dark Orgasm” un capolavoro lo è, punto.