Cathedral – Forest of Equilibrium

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Equilibrium… quale altro sostantivo riuscirebbe a descrivere in modo così esauriente questo debutto? Quali altre parole potrebbero anche solo lontanamente rendere quel concetto d’equità e cadenza ritmica creati da un rintocco ossessivo, da una pulsazione regolare prolungata all’infinito? Tutto questo erano i Cathedral quindici anni orsono: liturgia catacombale. Visioni e percezioni oscure perpetrate ad oltranza senza tregua alcuna: questi sono i contenuti che i cinque mettono “nero su nero” in poco più di cinquanta minuti di funzione. Il cerimoniere Lee Dorrian (proveniente dai grinders Napalm Death) è qui più che mai concentrato nel decantare le sue cupe orazioni, oscillanti fra antitetiche analisi della natura umana e rituali d’iniziazione. I suoi compagni d’armi dal canto loro s’industriano nel confezionare al meglio gli sfondi sonori per i suoi programmati interventi: ne nasce un doom-metal monolitico, martellante e a tratti insostenibile, basato su quei canoni (per quanto estremizzati) che la scena aveva allora già individuato come travi portanti del genere. (E nelle note di copertina, arriva puntuale l’ammissione dei loro debiti nei confronti di Obsessed, Pentagram e Saint Vitus). Il risultato è un lavoro sicuramente interessante e fascinoso, ma di veramente ardua valutazione: difficile pensare che, al di là della solita stretta cerchia di adepti, un disco caratterizzato da così scarsa fruibilità generale possa in qualche modo lasciare tracce positive nella mente di un ascoltatore “occasionale”. Il fatto è che i Cathedral in queste canzoni difettano di qualcosa di importante, sono privi di struttura. Non si preoccupano affatto di darsi delle regole compositive: ogni episodio si risolve in un’accozzaglia di riff statici (dal sicuro effetto doom, per carità!), che spianano il terreno nell’attesa di dare a Dorrian il momento opportuno per inserirsi con l’elegia di turno. Insomma, se non fosse per quella manciata di minuti in cui il gruppo nuota un po’ contro questa corrente inesorabile, che è l’intermedia “Soul Sacrifice”, l’intero disco non si descriverebbe meglio a parole che come uno scuro epitaffio funerario di quasi un’ ora (ripeto, alcuni apprezzeranno appunto per questo), inevitabilmente segnato dal tempo. La canzone in questione stupisce invece per l’elasticità della sua ritmica e per le azzeccate sovraincisioni vocali. Per non parlare del finale con sviluppo quasi Bay-Area: insomma, in un contesto del genere, una bella prova di coraggio! A scanso di equivoci, l’album presenta in ogni caso passaggi di sicuro effetto, come il demoniaco ritornello (?) di “Equilibrium” o la cadenza commiserevole della conclusiva “Reaching Happiness, Touching Pain”, con un Dorrian che prova a schiarirsi un po’ la voce dagli eccessi di raucedine dei primi minuti accompagnato da una suggestiva sezione di flauti. Altro da aggiungere? I Doom-maniacs ne saranno entusiasti, gli ascoltatori più distaccati (ma comunque dalle ampie vedute, si intende) ne saranno sfiancati, turbati e perché no, anche un po’ affascinati. Dal canto mio, se di grazia mi è permesso essere più franco del solito, “Forest of Equilibrium” è un buon esercizio di musica estrema, ma i Cathedral faranno sicuramente meglio in futuro.