TAD – Salt Lick

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Se siete fra quelle persone che considerano la copertina di un album come una sorta di biglietto da visita dei suoi contenuti sonori, allora qui c’è pane per i vostri denti: si, perché una monster truck che avanza a tutta velocità verso di voi certamente non presagisce un impatto nè leggero, né di facile metabolizzazione… Ci tengono a giocare a carte scoperte i TAD, formazione di Seattle dei tardi anni ottanta, con questo loro secondo EP, edito dalla allora fervida Sub Pop e prodotto dal guru Steve Albini, ormai celebre su più fronti. Sei canzoni soltanto per sottolineare pubblicamente e consacrare al mondo il loro ingombrante approccio alla materia sonora, che li sprona a rifuggere a testa bassa le caratterizzazioni più scontate del nuovo rock statunitense allora in decollo a livello planetario e a porsi, al pari di pochi altri complessi del periodo (penso ai Melvins), al limite della scena stessa. Tad Doyle, il possente ex-macellaio da cui il gruppo prende il nome, butta sul fuoco più carne che può (nel vero senso della parola!), concludendo con questo “Salt Lick” il periodo più duro e puro dei TAD, la cui evoluzione definitiva comincerà col successivo 8 Way Santa. “Axe to Grind”, col battere ossessivo del suo riff portante e quella struttura inusuale ma ancor di più “High on the Hog”, completa di una strofa ai limiti del burlesco che si sposa ben presto con un ritornello granitico, tracciano il percorso scelto dai quattro per assaltare al meglio l’ascoltatore, prendendolo alla sprovvista. Da qui un avvicendarsi di colpi bassi fino al calar del sipario: canzoni tirate e urlate in faccia senza il minimo rispetto, senza il più elementare fronzolo ornamentale, all’insegna di un’immediatezza espressiva che è e sarà sempre marchio di fabbrica del signor Doyle. E cosa importa se tale ortodossia estremista porterà a scarsi risultati sul piano delle vendite e a continui conflitti con le varie etichette chiamate in causa di volta in volta? (Si faranno pure licenziare da una major!). A loro di certo nulla. A noi ascoltatori invece farà piacere assaporare la “fresca” ventata “birra e sudore” del loro acre e tonante rock ‘n roll, come altrettanto facile sarà renderci conto che la strada battuta dai TAD in questo EP è inequivocabilmente senza ritorno: tanto irta di rumore quanto vuota di elasticità (si ascolti il lato B). La mancanza di respiro è la principale spina nel fianco del gruppo al punto che nemmeno il presunto cavallo di battaglia “Loser” (edita a 45 giri con una delle creazioni più pregevoli del quartetto, “Cooking with Gas”), che per definizione dovrebbe rappresentare il loro lato più “orecchiabile”, riesce a scrollarsi di dosso questo pesante fardello. In definitiva “Salt Lick” è questo e non lo si può di certo cambiare, discorso che calza a pennello anche ai suoi autori: integrità e riluttanza a scendere a patti con chiunque. Del resto il leccare sale può risultare non esattamente piacevole ma, come per ogni esperienza particolare che si rispetti, sconsigliarlo a priori suonerebbe come una colpevole sciocchezza.