Joanna Newsom – Ys

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Non facciamo finta di niente: l’ondata folk degli ultimi anni ha travolto implicitamente tutti gli ascoltatori più o meno occasionali di musica. Da questa osservazione il successo della Newsom è quasi ovvio nel contesto di revival folk e viene legittimato a pieno titolo da un paio di nomi che fanno sempre figo quali “sperimentazione”, “prog” (da notare come questa parola si sia trasformata da spauracchio antico a foriero di “novità musicali enormi” – guarda Mars Volta) in nome di una avanguardia abbastanza evanescente. Ma non è questo il punto: il punto è che c’è un’operazione che lega il successo della Newsom ai tanti insuccessi che un’attitudine quale il weird folk o come lo vogliate chiamare (new folk? prog folk? salcazzo folk) riesce a portarsi dietro; il mescolare forme folk a brani dilatati e/o pop non è cosa nuova, come non lo è assumere forme e contorni sperimentali: ci vengono in aiuto dal passato Joni Mitchell, dal presente una marea di gruppi più o meno folk e più o meno sperimentali, ci viene in aiuto il free folk. Ci vengono in aiuto una marea di produzioni e gruppi che non attendono altro che l’hype della Newsom si consolidi. In questo caso, l’operazione che porta la Newsom sui podi di mezzo mondo, è il sapere scalare i piani, presentarsi come nuova scoperta platinata ma col permesso di gente come Van Dike Parks, Steve Albini, Jim O Rourke. Punto. Gli arrangiamenti oltre le righe del disco (in verità di una leggerezza memorabile, veri capisaldi meravigliosi di un disco di cui la bontà musicale viene sempre messa a repentaglio da aleatori non-arrangiamenti vocali e non-arrangiamenti di arpa), la verbosità, i richiami vocali a Bjork (nel caso: vergognosi), sono solo espressioni alla buona di un movimento finalmente venuto a galla che arriva al successo. Largo all’avanguardia, diceva qualcuno..