Micecars – I'm The Creature

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Se non fossi stato costretto a stilare una classifica in fretta e furia, trattenendo una fetta di panettone tra i denti mentre le mani scorrevano tra i cd, di sicuro questo disco d’esordio dei Micecars avrebbe guadagnato posizioni.
In un periodo in cui la musica indie in Italia se la passa sempre così così, vivendo di fenomeni del momento e molti –troppi- gruppi underground che restano sempre troppo under il ground, la Homesleep licenzia il debutto di questa band capitolina che si appresta a colmare il vuoto che indimenticate band hanno lasciato. Qualche nome? Beh, c’è il tocco onirico della Beta Band e il sound ruvido-casalingo dei Grandaddy, e scusate se è poco. Se aggiungiamo anche il lo-fi dei Lemonheads e Ben Kweller e la follia dei Flaming Lips (non gli ultimi che sono un’orchestra sotto LSD però, piuttosto primi) si potrebbe pensare che stiamo buttando lì troppi grandi questi nomi. È vero, come è vero che le canzoni se li meritano tutti. E, dato che ci siamo, ci metto pure un tocco melodico Beatlesiano, visto che buona parte dell’album mi porta alla mente il pop di classe di Sean Lennon. A questo punto della recensione la curiosità e la diffidenza potrebbero essere allo stesso livello, e una “canzone consigliata” ci sta a fagiuolo: “The Ancient Art Of Peeping”. Accattivante, ruvida, magnetica come tutto l’album, che è un compendio dell’indie lo-fi degli ultimi anni. Ci sono le batterie incalzanti in 4/4 essenziali e spaccasassi (“The Battle Against Nimesulide”), I coretti la-la-la (“Introducing The Liquid Pets”) micidiali con le loro vocine distorte, le chitarre storte e distorte (“Underwater Slug” certamente uno dei momenti migliori dell’alnum), ma soprattutto arrangiamenti e melodie interessanti, di quelle che non ti aspetteresti di ricordare così bene già dopo il primo ascolto.
Potremmo tirare in ballo la solita frase “se fosse uscito in UK o in qualche sperduta parte degli States staremmo a gridare al mezzo miracolo”, ma peccheremmo di quel provincialismo che costringe a vedere il Salvatore della musica provenire sempre dall’estero. E allora più che un inglese “fucking great” concedetemi un italianissimo, anzi, un romano commento semplice e schietto: “’sto disco spacca”!