Non Voglio Che Clara – Non Voglio Che Clara

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Certe volte ci si sente smarriti, disorientati nei giorni che scorrono diventando piccoli sistemi a se stanti, contenitori che scandiscono le nostre vite al ritmo dei loro attimi. E quando gli attimi sono montati in sequenza talmente serrata da non farci più distinguere se siamo noi a vivere loro, oppure loro a proiettarci sopra a uno schermo, eccoci svanire nel mezzo.
Forse il segreto dei Non Voglio Che Clara è proprio la consapevolezza di questa fragilità, una finezza che rende la loro prospettiva tanto incantevole da farci sentire un po’ intorpiditi, come colpiti da una sindrome di Stendhal che rende impotenti dinnanzi alle sfumature del quotidiano. E’ la delicatezza della scrittura a farci intromettere nei loro racconti, dapprima garbati e poi, appena conclusi, svelti nel creare in noi un’ambigua nostalgia, nel confondersi col nostro vissuto pur non esaurendosi mai in una storia concreta. Prosa sofisticata, o poesia volatile… il loro stile lascia sempre qualcosa di celato. Nei loro versi si sente il respiro: l’esitazione. Questo va oltre i doveri di un interprete, è più simile al carisma di un folle che non riesce a non raccontarsi mentre cammina per strada, un folle romantico ma non edulcorato, che sta in bilico tra sentimento accecato e lucidità introspettiva.
Le canzoni non sono belle. Non si consumano. Sono invece affascinanti, anacronistiche quanto basta per essere all’avanguardia, per compiere il miracolo di sdoganare nel ventunesimo secolo la canzone italiana. Pop cantautorale che dispone le sue voci in modo esatto, alternando gli arrangiamenti d’archi ai momenti più scarni e meditativi, spezzando le narrazioni vocali con temi di piano laconici. Brani come L’oriundo e Questo lasciatelo dire sanno d’antico e al contempo d’attuale, maneggiano i chiaroscuri delle immagini e gentilmente ci irretiscono. La timida catarsi di Troppi calcoli si contrappone alla malizia di Porno, il feedback audace che chiude Ogni giorno di più pare tendere la mano alla penetrante voce di Syria in Sottile, Un nome da signora tratteggia a matita l’apertura del disco e Cary Grant lo chiude regalandoci il più forte dei sussulti. Tutti i pezzi, uno ad uno, crescono vicendevolmente nel loro splendido bianco e nero da neorealismo rosa, fermando quell’epicità dell’attimo che rende il particolare una vera e propria composizione. Non era facile essere semplici (e complici), non era ovvio coltivare la passione di ‘Hotel Tivoli’, ma i Non Voglio Che Clara sono riusciti a raccogliere e restituire l’ispirazione, e questo, come ogni loro verso, è un gesto di stile.
Cara Clara: “Puoi trovarmi / puoi avermi / cominciare ad amarmi / in letti fradici…”.