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Chantalle alias Francesco, ovvero dell’immaginazione a cristalli liquidi. Poco sappiamo di lui e ancor meno ci par giusto curiosare, ci basta plauderne le girandole armoniche e le giostrine pop che ci riserva, gustosi manicaretti che sfiziano i nerd e piacciono al popolo (sarà lieto di sapere che mia madre ne canticchia i brani e si chiede chi sia costui). Aboliti i cerebralismi e l’autismo da laptop generation, qui le melodie parlano il linguaggio della chiarezza, si avventurano in filastrocche di quelle che si tramandano i topolini in metropolitana. Il pop ha bisogno di respiro e di questi sei bambini in catene, “ragazzini disegnati male” e cresciuti a stravizi mediatici (chi ha ucciso la fantasia, abbiamo il cadavere e l’arma…). Rimandi sparsi a Rino Gaetano, Faust’O, la benemerita scuola romana dei vari Gazzè, Sinigallia, la naiveté scostante di Tricarico, Bersani se solo domani si risvegliasse cattivo e sommerso da cambiali da pagare, ma sono soltanto impressioni fugaci .Ti fa le fusa, sornione e quando meno te lo aspetti ti rifila una di quelle unghiate che te le ricordi per un mesetto e del resto, sono parole sue, “come si fa a guardare un gatto e non vedersi almeno un po’?”. Me lo chiedo anche io Chantalle, e non per questo mi sento strano. Non è cattivo quest’uomo, lo disegnano così e se gli fai una domanda prima ti ci manda e poi scopri che in fondo è proprio un pezzo di pane, raffermo e speziato però. Il primo album (‘Denti Bianchi’ del 2005) ci ha fatto drizzare le antenne, questo secondo episodio sulla media distanza strappa applausi convinti e qualche linguaccia di giubilo.
Carnevale sta per arrivare, stelle filanti, coriandoli, schiume da barba del discount all’angolo e fialette puzzolenti, e mi raccomando… per una volta nella vita almeno, giù le maschere voi altri.
Per contatti e primi approcci: http://www.myspace.com/chantallina