Herself – God Is A Major

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A volte ascoltare un disco è davvero un piacere. E il piacere è maggiore se del disco in questione non si conosce nulla, ma poi lo si mette su, questo parte e… meraviglia! Il mio approccio a ‘God is a major’ è stato proprio così. Ed è stato sicuramente il modo migliore per conoscere il secondo lavoro di Gioele Valenti, in arte Herself. Uno che in cameretta e con un semplice quattro tracce compone e registra dieci canzoni speciali. Si è cibato di tanti piatti succulenti prima di mettersi all’opera, e il menu comprendeva di certo Gravenhurts, Will Oldham, Windsor For The Derby, Iron & Wine, gli Sparklehorse più intimisti, Elliott Smith. Tutto è incentrato sul sempre intramontabile binomio voce/chitarra acustica, ma tante piccole cose ogni tanto fanno capolino nella registrazione: una batteria, un pianoforte, un’altra chitarra, piccoli aggeggi elettronici e tanto cervello nello scriverle, quelle dieci semplici ma incredibili canzoni. E tanto sentimento nell’interpretarle, quelle dieci intime canzoni dal senso universale. E tanta bravura nel dar loro una tonalità diversa dal solito folk di stampo cantautorale: ombre, sfumature low fi, piccole gocce di psichedelia, sogni in delirio e incubi dettati dalla claustrofobia. Canzoni di alto livello (su tutte Hidden, Report e una Stoned che potrebbe essere stata scritta dal miglior Mark Linkous), che una volta risvegliate prendono vita e iniziamo a muoversi da sole evocando ricordi e tante, tante sensazioni, liete o tristi che siano.