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Dopo tanto peregrinare tra scoscesi pendii sperimentali e la spumosa risacca degli universi “post”, Matteo Dainese giunge finalmente a casa con una gran voglia di suonare canzoni con la C in grassetto, facendoci finalmente ascoltare la propria voce e rispolverando gli strumenti accantonati (farfisa,tutto un fiorire di synths e tastiere …) in una ancor giovanissima vita da batterista per (tra gli altri) colossi come Meathead ed Ulan Bator. Occasione ideale dunque per risparmiare un altro “inverno a Pordenone” all’amico e conterraneo Enrico Molteni (bassista dei Tre Allegri Ragazzi Morti) e tenere a battesimo la propria label Matteite, che già dall’intestazione gioca con l’inesauribile fonte di energia naturale che pare nutrire il musicista in questione.
Senza mai tradire l’impianto tipicamente indie rock di canzoni che non rinunciano certo all’impatto (Deus,Built To Spill), le chitarre sono messe quasi in secondo piano, soppiantate da un tappeto brulicante di bordoni elettronici, frattali e frattaglie incastrate gli uni agli altri per una resa del tutto naturale, e un bel basso in prima fila, rotondo e dilatato. Tutto trattato nei minimi dettagli, con sottili giochi percussivi, ma ben lontano dall’ormai stucchevole estetica minimal/glitch; qui l’elettronica gronda sudore e cola olio motore e grasso.
Senz’altro groovy e compatti i brani proposti ma ricchi di sottotracce e flashback a sorpresa, particolari svelati pazientando attenti ascolto dopo ascolto. Talvolta il ritmo prende le sembianze di un enorme Pacman malefico e fuori controllo (“Chop Chop”), talaltra di un vento isterico che renderebbe fieri i Deerhoof (“Behind The Curtain”). Amarezza frammista a speranza quella della preziosa melodia circolare di “Town” (everybody is suffering in this town/so make me feel something i can trust), che fa il paio con la conclusiva “Feed The Dog” nel mostrarci un animo riflessivo e gentile. Non colpiscono a fondo episodi eccessivamente schematici come “Never Go Back Again” e la chincaglieria elettronica di “My Favorite Supervisor” e “Take the First Self-Leaving”, leggermente fuori contesto nella propria stravaganza. Non tutto è perfetto dunque, manca il colpo strappa applausi e la voce da gatto malefico di Matteo non è forse quella di un campione di versatilità, ma si tratta indubbiamente di un album di più che discreta fattura, ricco di belle canzoni e di incoraggiante maturità.
http://www.myspace.com/dejligt
www.matteite.com