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L’anno scorso Tweedy affermava di detestare il luogo comune secondo cui per trovare l’ispirazione è necessario essere tristi e depressi. Effettivamente abbiamo atteso questo disco bombardati da notizie che lo annunciavano come l’album della rinascita, della ritrovata serenità e della fuga dagli orrori della droga e della depressione. Vero. Ci crediamo. Pienamente. Il risultato ne è la conferma vivente ed è altamente improbabile riuscire a trovare imperfezioni in questo ‘Sky Blue Sky’. La dolcezza folk che ci si aspetta, la sferzata southern rock che riscalda, la classicità country-rock che dichiara la professionalità di sempre e l’immancabile inchino alla tradizione ad opera di un gruppo che ogni volta inorgoglisce il passato con estrema disinvoltura e genuinità. Jim O’Rourke e Nels Cline collaborano al progetto potenziandone la portata e rendendo sempre più complicata la scelta del miglior Wilco., ma qualcuno in questa sede riesce con estrema difficoltà a dimenticare del tutto i luoghi comuni. Sì, perché basta una rapida occhiata ai testi per ritrovarsi con il cuore spezzato e il groppo in gola. Perché dietro quella limpida malinconia folk non si nascondono poi così tante parole di fiducia e serenità (a parte il solo episodio della titletrack in cui canta: I should be satisfied I survived), ma coltellate al petto, amori calpestati dalle parole, storie adattate alla freddezza di un telefono, stanze vuote, promesse rotte, abbandono e lacrime. Jeff… sicuro di star bene ora?
autore: Michele Pinto
Auspicavamo di cuore per Jeff Tweedy che un giorno riuscisse a vergare liriche permeate da una tale serenità consapevole, quasi post traumatica se ci consentite il termine; la proverbiale quiete dopo la tempesta, quando torna a splendere il sole e certo, occorre stimare i danni, medicare le ferite e raccogliere i cocci, ma ci si rimbocca le maniche e si tira un immane sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. “That’s what i wished for/ Somebody just like you/ To tell me what to do/ and leave me like you found me”. Lasciami come mi hai trovato ora che forse ho imparato ad accettarmi, a credere in me stesso. “I’m this apple, this happening stone when i’m alone /but my blessings get so blurred at the sound of your words/ i’m gonna need you to be patient with me”. Sono ancora scosso ma vedo la luce,aspettami. Abbiamo scelto soltanto due tra i segnali lanciati al mondo dal cantante e anima dei Wilco, che in quest’album decide di mettersi a nudo come forse mai in precedenza; o forse mai con la stessa volontà di comunicare una precisa presa di coscienza, maledettamente costruttiva e aperta alla prospettiva di un lieto fine. E ci si diverte in questo disco, ci si diverte parecchio. Se la saranno spassata in studio e ne godiamo noi appassionati. Nels Cline si dimostra tutt’altro che fuori contesto nel verace roots rock dei Wilco, al quale per assurdo conferisce un aura ancora più classica, lontana nel tempo senza essere anchilosata e stantia. Non mancano le ballate eteree e brillanti che già hanno scavato un fossato nei cuori degli appassionati e che ora troveranno in “Either Way”, “Leave me like you found me”, “Sky Blue Sky” (vicina alla vecchia “Far Far Away”..) e “On And On And On” nuovi compagni nelle notti svegli a guardar le stelle, ballate col marchio Tweedy impresso a fuoco ma lontane dal suonar risapute o manieriste. Ma quello che sorprende e lascia attoniti sono i ruggiti delle chitarre, i preziosismi strumentali interrotti giusto un attimo prima di risultare stucchevoli; i rimandi al Fm/Southern Rock, gli Eagles in “You’re my face”, l’ancheggiare alcolico molto Lynyrd di “Walken”, lo spettro dei Faces qua e là… la coda quasi Santana di “Impossible Germany”. Una forma quasi iperrealistica della classicità; specchiata, rimirata e immaginata che finisce per suonare come qualcos’altro. Non è più tempo di ansie parossistiche di inizio millennio, di radiografie sonore (‘Yankee Hotel’), ma si è comunque deciso di svoltare dalle perfette miniature pop di ‘A Ghost Is Born’ aggiungendo un tocco di grandeur, di fasto e leggenda rock.