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Non è stato semplice pervenire ad un giudizio che fosse “definitivo” riguardo al disco in oggetto, ed è per questo che ne parliamo soltanto adesso, a mente fredda; era difatti evidente che tutto l’hype creatosi attorno al progetto di James Murphy potesse ritorcerglisi contro in un clima da redde rationem, oltre alla solita beffa del tempo che fugge e che se un paio d’annetti orsono aveva incoronato il recupero wave/punk/funk come trend principe del momento ora pare rivolto da tutt’altra parte. Senza contare che di teste pesanti di quella stagione ne sono già rotolate parecchie, a partire proprio da quei Rapture che privati della stratosferica produzione del suddetto Murphy ci hanno clamorosamente lasciato le penne, con un ultimo album a dir poco scialbo e approssimativo. Solo sgombrando la mente da pregiudizi e preconcetti si può arrivare a formulare un giudizio sereno e bilanciato su questo ‘Sounds of Silver’, dalla veste grafica davvero spartana e prelude – ahinoi – ad un album fatto di poche sorprese e conferme che non possono lasciarci soddisfatti. Il suono è più che curato, a livello quasi maniacale da un certo punto di vista, e c’è da ballare per notti intere, un’apoteosi per i palati più fini e per chi non vuole smettere di meravigliarsi ad ogni stacco, trillo, campione e controstacco. Ma qualcuno tra voi ne dubitava forse? Ed è solo questo che chiediamo ad un album fatto in ogni caso di canzoni? Non crediamo proprio, ed il “dramma artistico” sta proprio qui; una dannata prevedibilità nella struttura dei pezzi che ne attutisce l’impatto e a tratti arriva (incredibile dictu, dati gli intenti…) ad annoiare per la propria scontatezza e prolissità. Ce ne saremmo fatti una ragione fosse stato il settimo/ottavo album del progetto in questione, ma qui siamo soltanto al secondo episodio sulla lunga distanza e l’edificio mostra già delle crepe preoccupanti. Non è un caso che l’episodio migliore del lotto sia “Someone Great”, che si stacca nettamente dal programma circostante e recupera qualcosa dai Tears For Fears/Roxy Music più drammatici per portarli sulla luna grazie ad un basso stratosferico; uno straordinario omaggio ad un maestro scomparso. Non sono altrettanto proficue le successive divagazioni, come quella “All My Friends” che punta Madchester e Primal Scream ma indossa ali di cera e si schianta rapidamente al suolo. Il singolo “North American Scum” è in buona sostanza la strofa di “Daft Punk…” col coro di “Tribulations”, l’iniziale “Get Innocuous!” parte “rotolando” esattamente come “Losing My Edge” ed è il medesimo feeling di sospensioni reiterate. Ci piace “Us V Them”, è funky da star male e ti strapazza di fluorescenze, ma l’uso del Cowbell è quasi caricaturale nella sua reiterazione (davvero non c’è altro?). Sapevamo di non poterci attendere qualcosa di DECISIVO come quell’esordio (che inoltre era suggellato di un secondo dischetto zeppo degli irripetibili singoli pre-album…) ma qualcosa si è perso o forse soltanto interrotto; non c’è quell’ardore punk, quella volontà di potenza quasi sprezzante, quell’istinto primordiale. Ci pare un dischetto che si inserisce “benissimo” in questa seconda ondata di gruppi d’Albione, come i Klaxons ad esempio; suoni sgargianti, puliti e dinamiche da applausi, ma tanta sovrastruttura, poco vero funk e ancor meno anima.
Non ci permettiamo ovviamente di considerare il nostro come perso alla causa, ma qualche perplessità sulle sue capacità di scrittura a questo punto è più che legittima. Potrebbe forse trovare la sua svolta definitiva nella produzione e tirar fuori dal cappello altri portenti come ‘Echoes’ dei Rapture, appunto, e chissà che non sia quella la dimensione a lui più congeniale.