Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: |
Torna Joshua Homme. Tornano i suoi Queens Of The Stone Age. Tornano dopo un live album decisamente scialbo e inutile e dopo il passo falso di ‘Lullabies to paralyze’. Tornano e dimostrano di essere oramai una band ad un elevato punto di cottura. Se gli ingredienti sono i soliti delle ultime uscite, la ricetta finale risulta ancora di più indigesta. C’è da chiedersi se Nick Oliveri era davvero una controparte così importante nella scrittura dei brani: dopo il suo abbandono, l’ego chitarristico di Homme, senza possibilità di bilanciamento, ha trasformato uno grande gruppi in una macchietta noiosa (e lo stesso dicasi delle recenti esibizioni live). Rimangono gli ospiti, come di consueto. Ospiti che in origine avrebbero dovuto essere molti di più: già perché il brano in cui Trent Reznor presta la sua voce è rimasto fuori dalla tracklist definitiva e molto probabilmente vedrà la luce per altri scopi. Tagliato pure Billy Gibbons che pure aveva partecipato anche a quella Burn the witch di due anni fa. Chi si salva, oltre al solito Mark Lanegan diventato più comparsa-feticcio da annotazione che un interprete di primo piano come potrebbe essere, è Julian Casablancas, voce degli Strokes: il pezzo che ospita quest’inedita accoppiata è la terribile Sick, sick, sick che non migliora certamente il livello di un disco che è davvero mediocre, fatto di canzoni deboli (I’m a designer), sconclusionate (River in the road) se non addirittura irritanti (Battery acid e Run, pig, run) o noiose (3’s & 7’s e Suture up your future). Brutte, insomma, e senza appello. Se è questo ciò che Homme definisce “robot-rock”…
Cosa si salva? Qualche spunto interessante come il giro dell’iniziale Turnin’ on the screw (finché non si giunge all’apatia da sovrasaturazione), la parte finale di Into the hollow, il lungo intro di Misfit love che però confluisce in una strofa non altrettanto incisiva. Si salva soprattutto quel gran pezzo di Make it with chu. Ma se si considera che questa gemma solitaria risale al 2003 ed era presente in ‘I see you hearin’ me’, volume 9 delle Desert Session (in quella versione partecipava anche una certa Pj Harvey), beh, allora non si può far altro che scuotere la testa di fronte ad un così terribile insuccesso. Josh Homme, basta, non mi freghi più.