Blonde Redhead – 23

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Molte persone, critica in primis, dopo l’uscita di “Misery is a Butterfly” nel 2004, iniziarono a digrignare la mimica del volto, delusi ma quasi goduti al contempo della scelta presa dal trio di newyorkese adozione, una scelta tanto coraggiosa quanto pericolosa. I Blonde Redhead non sono più arrabbiati e sonici come ai tempi della loro incantevole vita violenta, Kazu è parzialmente guarita dalle schizoidi palpitazioni vocali reperibili in “Fake Can Be Just As Good”, e le timide e synthetizzate pulsioni di “Melody of Certain Damaged Lemons” hanno acquisito una nuova forma espressiva. E’ da questo periodo che forse si deve partire per comprendere “23”. Da qui infatti molto cambia: con “ Misery is a Butterfly” è come se la rassegnazione avesse preso il dominio nella forza creativa della band; è come se nel loro immaginario l’alienazione tendesse a farsi da parte, lasciando campo libero ad una riflessività melodrammatica, a tratti barocca. I Blonde Redhead, sono oggi un gruppo pop a tutti gli effetti. Davvero. Pop è il loro gusto per le melodie, per altro mai scontate, pop è la loro decadenza, pop è il loro trasognare. A cavallo tra noir e lirismi shoegaze (Spring and by Summer Fall, 23), all’interno di malinconie di ataviche memorie filtrate a vocoder (Heroine), acquerellati sopra una soffice cassa in quattro introduttiva (Silently), i Blonde Redhead stendono dal capo alla fine di questo disco la loro trama, solida e matura, dove la sezione ritmica di Simone Pace diviene importantissima, mai pesante, ma colta e pertinente. Kazu Makino e Amedeo dialogano ottimamente, trovano equilibri estetici, sia vocalmente, sia musicalmente. Non mi piace fare elogi gratuiti ad una band che amo dagli albori, una band che nonostante mode, tendenze e flussi migratori di hype si è preservata, è rimasta fresca e sincera, ma mi pare comunque sacrosanto evidenziare come oramai i Blonde Redhead siano un gruppo autonomo, capace di autogenerare corrente elettrica propria e di distaccarsi definitivamente da etichette e marchi di circostanza, dopo scelte pesanti, non tutte azzeccate magari, ma capaci di dare una fisionomia ben precisa al loro sound.