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I Primordial rappresentano da anni la coerenza e la devozione artistico-musicale rispetto ad un genere che spessissimo si perde in parodie di avanguardismo o di eccesso reazionario. Parlare di black metal sarebbe impreciso, così come di anteporre qualsiasi altro prefisso alla parola – “metal” – forse persino limitante in questo caso. Se chitarre distorte e tonalità foscamente epiche condite da percussioni radicate nel folk – inteso come “tradizione” – fossero comprese nella suddetta definizione ci starei pure, ma è palese che i Primordial siano uno dei pochissimi gruppi che strabordano da qualsiasi classificazione, pur rimanendo fississimi e ben racchiusi in uno stile determinato, conclusi in un nucleo purissimo. Quello che nel disco precedente emergeva dalla ripetizione quasi alienante di riff intrecciati qui esplode in una forma canzone leggermente più ragionata, con stacchi e melodie più incisivi ed “aperti”, dinamiche più accentuate, il tutto reso possibile solo dalla sicurezza guadagnata in anni di attività – venti, ebbene sì – a testa bassa e muso duro. E se già ‘The Gathering Wilderness’ era una magia inscritta in mantra ossessivi e circolari, questo rivolgersi verso l’esterno non può che dischiudere l’impatto devastante, vitale e marziale della band capitanata dall’istrionico (credo l’aggettivo più usato nei suoi confronti, ma provate a smentirlo) Alan Nemtheanga, teatrale e cangiante come non mai, capace di rendere epicità e maestosità ad ogni singolo passaggio. Tra pezzi più vicini al repertorio passato e interessantissime piccole innovazioni, forte di una doppietta (Empires Fall – As Rome Burns) di brani perfetti, se questo non è il loro disco più genuinamente bello poco ci manca.
E forte della coscienza di aver espresso un giudizio sereno sul disco in questione, mi rimetto a sentire il precedente, che per quanto fosse più sommesso, oscuro e melmoso continua ad emozionarmi in maniera unica. Ma questa è solo una nota personale…