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Dodici anni di musica sono sufficienti per decretare lo spessore artistico di una band e dinanzi ad un simile contesto, per gli addetti ai lavori, risulta anche piacevole tirare le somme di un’intera carriera.
Come raramente succede, dal ’96 ad oggi, questi quattro napoletani non hanno commesso falli e anche l’atteso ‘Ghostwriters’, pur allontanandosi definitivamente dall’estrazione sonora degli esordi, si rivela l’ennesimo esempio di buon gusto e incorrotta ispirazione.
Solo nove tracce, poco più di mezz’ora, per abbandonare del tutto i metodi dub e reggae, che avevano trovato spazio fino ad ‘Underpop’, e concedersi totalmente al gusto per la tradizione cantautorale.
Un disco dal fascino tipicamente mediterraneo (non solo per la presenza dei mandolini) che con l’assiduo vernacolo e accordi particolarmente popolari, intreccia una lirica che pur richiamando, in alcuni episodi, soggetti già trattati in passato, riesce ugualmente a colpire l’emozionalità dell’ascoltatore con la squisitezza di sempre.
Non è un caso infatti se dopo tutti questi anni la potenza verbale di Di Bella rimane pura e fortemente figurativa e, nonostante la novità di questo disco sia proprio la presenza di un corposo booklet di immagini associate ai testi (oltre alla preziosa collaborazione di Filippo Gatti, Marina Rei, Nicolò Fabi, Riccardo Sinigallia e altri), le parole bastano a guardare con gli occhi del Cardillo e a potenziare immancabilmente il nostro bagaglio emotivo.
Dodici anni senza peccato dunque, e al di là di ogni qualsivoglia forma di inutile campanilismo, siamo più che gratificati nel considerarvi come riferimento musicale di un Sud
che fortunatamente non è solo monnezza e luoghi comuni.