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Pensate allo stoner più stimato, al blues più ruvido, al country più sbilenco, aggiungete cactus e sabbia alla pianura padana e immaginate i Black Sabbath, Iggy Pop e Jon Spencer a trangugiare baccalà nella città del Palladio.
Cinquanta minuti di suono massiccio, brusco e determinato, una voce zozza ed arcigna che denuncia il grigiume dell’industrializzazione sbattendo tra i denti il dinamismo di questi tre vicentini…ancor prima di realizzare che quello che sta accadendo è tutto frutto dello Stivale e che nel trittico compare anche l’ottimo basso di una presenza femminile.
Persino l’artwork risulta degno di nota, e benché sprovvisto di booklet, offre un’immagine in copertina che sa già dichiaratamente di desert rock.
In altre parole soltanto la scelta del nome della band e del disco potrebbe risultare un tantino irritante, ma per il resto, ritrovare autoproduzioni di tale spessore nella cassetta delle lettere incoraggia lo spirito, ridona fiducia verso la gioventù sonora italiana e in casi come questi spinge finanche a ritenersi boriosamente eletti.
Messa così potrebbe anche apparire un’esagerazione frivola e fuori luogo, ma stavolta, esimi lettori, la merce merita eccome!