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Penso sia più semplice distruggere un pianeta con una fionda che abbattere un luogo comune, particolarmente se parliamo di musica e se c’è di mezzo l’Italia, perciò quando miracoli di questa fattura accadono non posso far altro che lasciarmi prendere dall’entusiasmo.
Vincenzo Ramaglia da Roma, come un moderno Davide imbraccia la sua fionda e abbatte lo stereotipo per cui gli accademici devono restare nelle loro roccaforti ben lontani da fattori capaci di iniziare anche il più timido tentativo di smuovere l’ordine “naturale” delle cose. Per farla breve qua abbiamo un musicista che arriva dal conservatorio di Santa Cecilia che non si pone limiti nel presentare il suo lavoro capace di unire il classicismo della musica da camera al jazz più futuristico e ricercato e a inaspettate incursioni nella ricerca sonora.
Al di la della professionalità del disco colpisce la freschezza dei movimenti contenuti in “Formaldeide”, il puro piacere che si prova nell’ascolto di queste otto tracce in cui è diviso il cd, la spigliata eleganza con cui si muovono pianoforte, clarinetto, sax e flauto nel recitare queste composizioni capaci di attingere a piene mani sia dal patrimonio scolastico che da episodi illuminati della musica odierna.
Pur trattandosi di casi molto diversi, le sensazioni provate ascoltando questo disco sono simili a quando anni fa sentii per la prima volta gruppi come i Rachel’s, capaci di unire musica classica e moderna. Nella musica di Vincenzo Ramaglia convivono in pace una moltitudine di anime, ed è un piacere assistere alla loro vitalità.
In definitiva una autoproduzione di altissimo livello, il continuo rincorrersi degli strumenti dà vita a un disco pieno e completo, semplicemente bello e meritevole di essere diffuso, ascoltato ed apprezzato.