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In ‘Dead Mountain Mouth’ si sfiorava a tratti la perfezione, tra scream acidissimi, chitarre più compresse dei Converge e stilettate di idm glaciale a spezzettare il tutto nel migliore electro-grind mai composto, probabilmente, da quando i metallari si son messi a giocare con sequencer e drum machine – o viceversa, insomma. In ‘Board Up the House’ si rallenta, si costruisce di più, si ripete talvolta eccessivamente, ci si dispiace per l’occasione giocata maluccio, in fondo: ipnotico l’attacco della title track, begli spunti di Endless Teeth e Things Don’t Look Good che cominciano a ammorbidirsi sempre più fino alla prolissa I Won’t Come Back Alive. City On a Hill è sì l’ennesimo attacco all’arma bianca ma rivela allo stesso tempo il punto debole di questo disco, la costruzione piuttosto monotona dei pezzi, in buona parte poggiati su 30 secondi iniziali di blast beat disciolti in 2-3-4 minuti di chincaglierie elettroniche non più tanto ispirate come in passato. Peccato, ché poi Colony Collapse, seppur sempre incastrata in questo archetipo stantìo, non è affatto male, The Feast tenta la ripresa aumentando ulteriormente il bpm e il volume della cassa, ultimo sprazzo di vita prima dei dieci insostenibili minuti di Relief, synth metal low cost per relapsiani convinti e pochi altri. Si auspica un ritorno ispirato.