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15 Ottobre 2010 | La tempesta dischi | www.massimovolume.it |
Litio
“chi l’avrebbe mai detto di ritrovarci qui / giugno 2010 / in un pomeriggio di pioggia e di sole / seduti di fronte alle nostre parole?” Così Emidio Clementi sulle note di Robert Comwell, ultimo di una galleria di numi tutelari – da Jim Carroll e Emmanuel Carnevali – che nel corso degli anni si sono dati il cambio per vegliare sul gruppo. E non è una casualità che sia toccato proprio al capofila della cosiddetta “poesia confessionale” benedire il momento del gran ritorno.
Con una formula musicale così facile alla retorica e un nome che è tra i più evocati del nostro rock indipendente, il rischio di una rentrèe celebrativa era dietro l’angolo. Poi però, a vederli portarsi in giro Stanze (non il capolavoro Lungo i Bordi o il più maturo Da qui, ma Stanze: il disco più ‘piccolo’, più acerbo, più imperfetto) si cambiava idea e quasi ci si convinceva che Mimì fosse tornato il cantante che “parla” non tanto per declamare ma piuttosto perché “non ha mai imparato a cantare”. Ecco, Cattive Abitudini, prima incisione in studio dal 2001, smentisce entrambe le ipotesi: tra il comeback istituzionale e il ritorno alle radici, i Massimo Volume scelgono la terza via, quella del disco-confessione. E’ un ritratto allo specchio, una coraggiosa presa d’atto del presente senza sottrarsi al confronto con ciò che è stato: “e così veniamo avanti /simili in tutto a quelli di ieri /aggrappati a un’immagine / condannata a descriverci” C’è molto di autobiografico qui, e molto poco di autoreferenziale.
Come gli autori stessi dichiarano si tratta di un lavoro che riflette sul senso del tempo, un tempo che è tutt’altro che quieto e pacificato. Incalza, scorre velocemente sul filo e lascia in sospeso, “troppo presto per organizzare il proprio sgargiante declino / ma non abbastanza da non averne un’idea”, per citare ancora Le nostre ore contate. I momenti come questo le musiche (registrate in presa diretta) si fanno nervose ed elettrizzanti ritrovando le geometrie chitarristiche al loro meglio, con lo storico Egle Sommacal e il nuovo entrato Stefano Pilia che lavorano manico a manico.
Ma c’è spazio anche per passaggi più rilassati e naturalmente per le nuove storie: concretamente private (Mi piacerebbe ogni tanto averti qui) o evocative ed astratte, quasi tutte ambientate in un qualche paesaggio postapocalittico filo-McCarthy (Il Mondo dopo il mondo). Ce li si può figurare mentre cercano una strada da seguire, nuove parole per descrivere “ciò che sarà e non è ancora stato”: è una ricerca che potrebbe chiedere tempo, anche tutta una (seconda) vita. Intanto basterà sapere che i Massimo Volume sono tornati e stanno lavorando per noi: per questa nuova generazione, affamata di un rock di parola e di “contenuto”, potrebbe non essere poco.