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18 febbraio 2011 | XL Recordings | Radiohead.com |
Lotus Flower
In anticipo di ventiquattro ore rispetto alla data annunciata, è da ieri scaricabile dal sito ufficiale The King Of Limbs, il nuovo attesissimo lavoro dei Radiohead.
Dopo averlo scaricato diligentemente, voglio descrivere a caldo alcune impressioni in seguito al primo ascolto.
Innanzi tutto va detto che The King Of Limbs non è niente di nuovo. Questo disco è infatti esattamente quello che mi sarei aspettato dai Radiohead in una fase successiva a In Rainbows, né più né meno. Ed è in parte un bene, e in parte un motivo di disappunto: avrei preferito una maggior ricerca, e una maggiore tensione innovativa da parte dei Radiohead in occasione del nuovo lavoro. Lo scarto di ricerca e innovazione che ha staccato Hail to The Thief da In Rainbows è stato molto maggiore, per capirci. Come che sia, Il disco è per lo più giocato sulle alternanze tra i ritmi spezzati e frenetici ed i downtempo tipici di questa ultima fase della carriera di Thom Yorke e soci, mentre le atmosfere sono più cupe e insidiose rispetto a quelle di In Rainbows, e più vicine per alcuni aspetti alla visionarietà di Amnesiac, per citare un riferimento immediato. Molto amnesiana è ad esempio la bellissima ballata Codex, che è uno dei brani di maggior impatto al primo assaggio, e che ricorda l’andamento e i colori di Pyramid Song, o ancora la sghemba Little By Little.
Secondo elemento da rilevare subito: se – e dico se – non dovesse uscire a sorpresa altro materiale, le preoccupazioni sulla possibile scarsa lunghezza del disco si sarebbero rivelate fondate; il disco contiene infatti 8 tracce, per un totale di 37,4 minuti. Ora – posto che questo possa inferire qualcosa sulla qualità effettiva di un prodotto artistico – ritengo che però possa essere stato, a livello prettamente comunicativo, un mezzo passo falso nello stretto rapporto affettivo che lega da tempo i Radiohead alla loro fanbase: una band che si fa attendere spasmodicamente per tre anni e poi partorisce un disco di otto tracce può creare in qualche fan un po’ di sconcerto e disappunto. A meno che, ripeto, non esca a sorpresa altro materiale (e già circolano voci insistenti in proposito), o che l’edizione “Newspaper” contenga un disco di b-sides e outtakes (come era accaduto per In Rainbows). Verremo smentiti da un fantomatico The King Of Limbs Part 2? Molti fan ravvisano un indizio positivo in tal senso nella linea cantata da Thom Yorke alla fine dell’ottavo brano in scaletta, Separator: “If you think it’s over, then, you are wrong” (se pensi che sia finita qui, beh, ti sbagli).
Secondo ascolto
Al di là di improbabili sorprese, ad un secondo ascolto il disco comincia a rivelare la sostanza di cui è fatto, un’opera d’arte fortemente coesa dal punto di vista estetico, e che forse dura anche quanto deve durare, che non altera gli schemi e i meccanismi messi in campo da In Rainbows, ma che invece li estremizza e li porta alle necessarie conseguenze: il cuginetto più ostico di In Rainbows, per farla breve. La forma canzone viene destrutturata ancor di più, e la band sembra andare a ricercare atmosfere dilatate, ambienti, suggestioni, e soprattutto grooves più che vere e proprie strutture. Non c’è la strutturazione di una Bodysnatchers o di Jigsaw Falling Into Place, per intenderci, ma rimane e viene anzi approfondita la magia alchemica scoperta dal George Martin dei Radiohead, Nigel Godrich, ovvero l’intuizione di un suono dal sapore e dalla grana fortemente analogica e polverosa, applicato a strutture che ricalcano l’avanguardia digitale.
E quando comincia ad entrarti questo segnale, il disco prende a catturarti e ad avvolgerti nella sua sensualità ammaliante e quasi ballabile, e capisci che non te ne libererai molto presto.
Il primo brano in scaletta, Bloom, è una perfetta porta d’ingresso nella foresta di suoni e rumori, una soglia che ti attira dentro sé con un pattern di batteria ripetuto e frenetico, un loop di piano algido, e una voce che si stende lenta e dilatata su tutto questo clangore. La voce si fa suono e strumento, si fa sussurro e si estende e allunga sulle note anche quando la band prende la piega martellante e quasi new-wave e funk di Morning Mr Magpie, esattamente l’idea di sexy e di danzabile di Thom Yorke. Little By Little è la versione destrutturata e lisergica di Go To Sleep. Le chitarre non graffiano mai, ma sono contrappunti, arpeggi sinuosi, commenti, e gran parte dello spettro sonoro è affidato a strumenti ritmici, ad un basso decisamente meraviglioso, e a tappeti stratificati. Feral è per minimalismo e avanguardia il brano più estremo: un pattern di batteria fisso, in loop, e la voce algida e filtrata di Thom Yorke campionata e poi suonata, come avveniva in Everything In Its Right Place, effetto raggelante. Segue il brano scelto come singolo: Lotus Flower, uno dei brani che più da vicino ricordano lo stile e le strutture di In Rainbows, e uno dei brani più regolari e strutturati dell’intero lavoro: la voce distesa e spalmata su una base di batteria quasi dub, un feel davvero “trippy” e sensuale, ed anche uno spartiacque tra un lato A del disco più groovy, e un lato B più intimista. Codex funziona egregiamente nel suo voler dare la versione della ballata stile Radiohead per il 2011, una melodia di voce di quelle che solo Thom Yorke sa scrivere, una Last Flowers meno accorata e più jazz, il minimalismo dei suoni, e un’apertura di fiati che suona come un’illuminazione, e poi passa. Give Up the Ghost è un brano delizioso, una fotografia sbiadita degli anni ’70, una ballata che potrebbe essere di Tim Buckley, giocata su un’acustica pizzicata, un contrappunto di voci, e una voce solista che sembra provenire da una altro tempo, da un campo di fiori, da una brughiera, da lontanissimo. E infine Separator, che riprende le fila del lavoro, con il suo incedere di batteria sbarazzino, ma in una luce tutta nuova: le chitarre sono brillanti, la melodia è cantabile e positiva, l’oscurità lascia spazio ad una schiarita di sole, un timido sole inglese, dopo la pioggia.
In definitiva The King Of Limbs è un disco che probabilmente denuncia la fine della fase creativa più importante dei Radiohead, ma che racconta anche il loro assestarsi su una forma di musica personalissima, sexy, affascinante, e in fondo anche pacificata nella presa di coscienza della propria distanza siderale dal rock contemporaneo. E tuttavia: If you think this is over, then you are wrong.