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Luglio 2011 | Warner | Jillscott.com |
So Gone (What My Mind Says)
Inizia sotto auspici controversi la nuova vita di Jill Scott, unanimemente una delle voci più intriganti del neo-soul, al pari (o quasi) di – nominiamola subito – Erykah Badu. Dopo l’elogiatissima triologia della serie Worlds & Sounds che l’ha lanciata grazie alla piccola etichetta Hidden Beach, la Scott arriva su major, con un album stratificato, ricco e raffinato, ma decisamente solare, sin dal titolo, che si intona con le novità della sua vita privata (un nuovo amore dopo il divorzio e la nascita del primo figlio). Ma è appunto un album molto carico di intenzioni, probabilmente troppe e soffre questa sua storicizzazione più del dovuto, chiedendo un ascolto partecipativo per il quale non è sempre all’altezza.
Si lancia con Blessed in uno splendido soul chiaramente ispirato a What’s Goin’ On di Marvin Gaye, in bilico tra l’omaggio didascalico e un trasporto sincero verso sapori più classici, strizza l’occhio alla moda burlesque con uno scherzetto anni ’30 arrangiato per vocal beatbox, scivola più volte su languide canzoni r&b dal sapore lounge assolutamente di mestiere, riempitivi di album che con 15 brani è prolisso senza altro motivo che non sia questa traboccante e pedante ansia di persentarsi nuova, e se anche questo è da sempre l’approccio all’album di Jill Scott, qui più che altrove pesa lo sbilanciamento tra produzione ed ispirazione. In questo contesto un brano clamoroso di 9 minuti come Le Boom Vent Suite, posizionato in mezzo alla tracklist rischia di annacquarsi ingiustamente. Dei legami con l’hip hop in stile The Roots non c’è più traccia, si preferisce piuttosto rievocare qua e là un rap anni ’90, con scratch e ritmiche più calcate, che stona un po’ con la raffinatezza ricercata delle soluzioni vocali.
Nel complesso un album che ha frecce pungenti nella propria faretra: Hear My Call, arriva dritta al cuore, Quick è un altro simpatico scherzetto voce, basso e batteria, e in generale ci sono cose all’altezza della migliore Alicia Keys. Rimane un album farcito di sé stesso, difficile da digerire, se non concedendogli un dignitoso sfondo, portatore di una volontà “totemica” che lo rende insieme qualcosa più e qualcosa meno dell’oggetto ornamentale. Rispetto alle premesse però, di un’artista dal potenziale enorme e lo spirito da poetessa del soul, possiamo aspettarci davvero qualcosa di più, almeno per il futuro della nuova Jill Scott.