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Giugno 2011 | Domino | SADloveyou.com |
Rose Red
Così come le strade di Glasgow, città natale del quartetto, si articolano in discese e salite non troppo simpatiche, l’interesse e il grado di credibilità da affidare ai Sons and Daughters durante l’ascolto di questo Mirror Mirror si modulano sinuosi tra picchi di godibilità e fosse di ridicolezza, che è comunque meglio di una prateria infinitamente piatta.
Rispetto alla discografia precedente, si nota una svolta dark che fa ben sperare, soprattutto a chi ha già potuto apprezzare gruppi come Blood Red Shoes e These New Puritans. E, d’altra parte, dopo aver aperto per Morrissey e Franz Ferdinand, questi scozzesi un po’ troppo sicuri di se non potevano adagiarsi sul falso entusiasmo da NME: si sono dati da fare, approdando a un agglomerato post-punk/elettronico con insospettabili chitarre americaneggianti.
Il contrasto fra rozzezza del suono e attitudine fin troppo glamour, amato o odiato che fosse, sembra qui sfumare verso una maggior corrispondenza fra produzione musicale e immagine del gruppo (sempre se avranno il buon senso di mandare al rogo un po’ di paillettes). Tracce di colore in stile Blondie permangono solo in Orion, tutto il resto è in scala di grigi, oscillante fra Gossip e nevrosi folk. Mantra elettronici come Silver Spell e Ink Free profumano di Depeche Mode, ma la svenevole voce della pluriadorata Adele Bethel fa la differenza.
Che la caducità da floorfiller lasci spazio alla solidità degna di un gruppo che sopravvive a più di due primavere, dunque, permettendo ai Sons and Daughters di poter essere recensiti senza essere accostati di continuo a band più credibili di loro.