HTRK – Work (Work,Work)

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Gli Hate Rock (così va letto il loro nick) ne hanno passate molte.

Proveniente dall’Australia e mantenendosi quieta vagabonda tra Berlino ed ora Londra, la band ha rilasciato nel frattempo due altri album quali “Nostalgia” e “Marry Me Tonight”. Purtroppo a quest’ultimo punto è iniziata una triste linea di eventi: la morte del loro produttore Rowland S. Howard (The Birthday Party) e poi il suicidio del bassista Sean Stewart.

Rimasta con soli due elementi, la band, porta avanti oggi il malinconico e triste passato che l’ha segnata pochi anni fa. Con la dolcezza e sensualità caratteristica della loro cantante: Jonnine C. Standish, vengono ripresi brani e composizioni precedenti, nate in collaborazione con Sean e proposte in un disco che rappresenta la fatica, la determinazione di continuare e scavare nella tristezza delle loro recenti vicissitudini.

Nasce così un’atmosfera avvolgente e totalizzante che permea tutto il disco, dandogli una omogeneità ed una coerenza lineare precisa. Se i precedenti LP contenevano una elemento distorto e noisy maggiore, qui siamo di fronte ad un’emotività azzerata, sottovuoto, che non sa come muoversi. Ci muoviamo attraverso beat minimali e decostruzioni, dentro un contenitore plastico. La luce si deforma ed il colore dominante è un celeste bruciato, basso e pesante.

La voce e le ritmiche si focalizzano sulla vocalità ed il suo incedere dolente. Alcuni punti di riferimento possono essere facilmente gli AGF-Delay (per le loro ritmiche minimali), per un discorso prettamente di attitudine e atmosfera i Portishead, ed anche i Pan Sonic per le distese elettroniche su cui scivolano le linee vocali.

Work (work work) è un disco staccato dal suo presente per i suoni che contiene. È immobile e statico, in un angolo immaginifico. Quasi fossimo dentro Blade Runner, un tunnel deserto illuminato al neon, un aeroporto senza punti di riferimento, in cui il viaggio diviene dispersione ed incapacità di scelta.

Ecco il disco dei HTRK. Un lavoro che va apprezzato per  come è nato, e con lo stesso metodo va ascoltato. Sennò il contenuto sembrerà friabile e ostentato, inutile a livello stilistico.  La traccia “Eat yr Heart” è perfetta nel contenere tutti gli elementi che ho descritto, con le sue tinte oscure e la sua pellicola fotografica bruciata. Un unicum riflessivo.

Sicuramente un disco personale come se ne vedono pochi.