Attitudine e visual: Ormai lontani dalle derive black metal delle origini, i “lupi” norvegesi del Circolo Degli Artisti tratteggiano sul palco imprevedibili canovacci sonori, insoliti scenari ritmici in bilico tra rumore e silenzio, astrattezza ritmica e concretezza strumentale. Gli Ulver scelgono dunque la via della sperimentazione audace e dell’improvvisazione catartica che scava il suono nel buio della sala, mentre l’iniziale preludio di campane e ferruginose catene lascia il posto agli strumenti e alle sonorità sublimate dal computer e dai campionatori. Synth e droni danzano con le percussioni, con l’eleganza classica delle tastiere di Tore Ylwizaker e le capacità vocali di Kristoffer Rygg. I suoni granitici e monolitici, le modulazioni tonali in balia di elettronica e frequenze volatili si mescolano così alle immagini, a fotogrammi filmici di altri tempi, alle vedute silenziose di 2001: Odissea nello spazio, scimmie e monoliti, “bambole confuse”, danze di scheletri e attimi in bianco e nero che trasportano momenti surreali su immensi volumi sonori ibridi e destrutturanti.
Audio: Il suono mastodontico proposto dagli Ulver giunge pieno e corposo, forte e possente come una bomba pronta ad esplodere, un fiume in piena di suoni carichi e vibranti.
Setlist: Ad accompagnare brani quali England, Dressed in Black, Doom Sticks, Glamour Box (Ostinati), Tomorrow Never Knows e Nowhere/Catastrophe, tra pause silenti e istanti corroboranti, fluttuano i mari dell’improvvisazione totale, mentre il bis è infine affidato alla straniante Eitttlane.
Momento migliore: Le lame taglienti dell’improvvisazione, Glamour Box (Ostinati) e le cavalcate distorte di Eitttlane.
Pubblico: Un pubblico numeroso ed eterogeneo, tra barbe e outfit dal forte ascendente metal, spiriti anni Novanta e anime del nuovo millennio.
Locura: La voce di un ragazzo che grida a squarcia gola tra un pezzo e l’altro “Ulver! Ulver! Ulver! Ulver!”, mentre c’è chi lo segue in un coro unanime, chi è sopraffatto dalle risate e Kristoffer Rygg che ogni tanto ringrazia alzando le mani al cielo.
Conclusioni: Gli Ulver percorrono in definitiva i sublimi confini dell’ignoto e della ricerca accurata del divenire, edificando un live che è frutto della sperimentazione e della metamorfosi. Un viaggio profondo ed estremo fatto di caos e oblio.