Trentemøller: La possibilità di perdersi nell’amore, nella musica o nell’arte

Anders Trentemøller è un personaggio dalle mille sfumature e il suo percorso musicale ha attraversato negli anni derive sonore sempre differenti in un processo di metamorfosi partito con l’elettronica e successivamente rivolto a scardinare e manipolare l’idea stessa di dj set. Paesaggi sonori sempre in continua evoluzione, volgendo lo sguardo al mondo della contaminazione tra sintetizzatori e tastiere, laptop, voci e strumenti tradizionali, aprendosi alla forza del naturale dualismo tra l’uomo e la macchina. Una musica fatta di contrasti che rifugge, l’hype, le tendenze, i generi e le etichette e che affonda le sue radici nella personalità stessa di Trentemøller, nel suo modo personale di percepire il suono e di fare musica. Da The Last Resort (2006) passando per i numerosi remix e Into The Great Wide Yonder (2010) fino all’ultimo Lost (2013)il suo sound ha cambiato spesso pelle, riflettendo sempre l’intimità di un mondo interiore, l’essenza dell’emozione, dell’istante trasformato in musica. In attesa del tour e delle due date italiane (il 24 febbraio all’Estragon di Bologna e il 25 febbraio all’Atlantico live di Roma) ci siamo piacevolmente persi tra le suggestioni e le mille possibilità dell’universo sonoro di Trentemøller, in balia delle sue riflessioni immerse tra caldo fragore analogico e più freddo rumore digitale.

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Lost è un titolo che sembra avere una doppia faccia, un doppio significato sia positivo che negativo, sia oscuro che luminoso. Ci puoi spiegare il suo significato? Ti eri “perso” nel processo creativo?
Sì, questo è stato esattamente il motivo per cui ho amato quella parola e ho pensato che fosse adatta come titolo dell’album. Non mi sono perso nel processo creativo dando ad esso un’accezione negativa del termine. Credo che a volte sia stupendo perdere il controllo di se stessi. La possibilità di perdersi nell’amore, nella musica o nell’arte. La possibilità di tanto in tanto di allontanarsi e dimenticare la routine quotidiana. Ed è questa la cosa più bella della musica, ti consente di fare tutto questo. Così il doppio significato contenuto nel titolo mi sembrava una cosa divertente e anche qualcosa che si adattava alla perfezione al mio modo di fare musica. Adoro i contrasti e le differenti stratificazioni musicali e di significato.

Spesso accade che la collaborazione tra artisti produca effetti sorprendenti, soprattutto nel caso in cui questi artisti provengano da background molto diversi tra loro. Nel caso di “Lost” le collaborazioni presenti nell’album sembrano rappresentare un’esperienza forte, qualcosa di più rispetto al semplice “featuring” svuotato di significato. Come sono nate le varie collaborazioni (Jonny Pierce dei The Drums, Kazu Makino dei Blonde Redhead, Sune Rose Wagner dei Raveonettes, Jana Hunter dei Lower Dens, Ghost Society, Low) contenute nel disco?
Ho uno studio a Copenhagen con una sala di registrazione per batterie, chitarre, pianoforte, amplificatori e altra roba e poi c’è, nella stanza accanto, il luogo adibito al lavoro di produzione dove trascorro la maggior parte del tempo. Questa volta ho iniziato con la stesura e scrittura dei brani al pianoforte. Per prima cosa mi sono focalizzato sulle melodie e sulla progressione degli accordi perché avevo davvero l’idea che questo album dovesse essere interamente strumentale, ma abbastanza rapidamente ho avuto la sensazione che le canzoni che avevo scritto in qualche modo “richiedessero” la voce. Così ho iniziato a scrivere questi brani per gli artisti presenti nell’album, ma a loro insaputa! Non appena mi sono fatto abbastanza coraggio, dopo che per me le canzoni erano finalmente finite, ho iniziato a contattarli con la speranza che loro avrebbero voluto lavorare con me ai pezzi. Fortunatamente hanno detto tutti di sì! Qualora non avessero accettato, i brani in questione non avrebbero definitivamente fatto parte dell’album. Erano pezzi scritti appositamente per loro. E proprio perché i brani erano stati scritti con queste voci specifiche nella testa sono anche diventati, si spera, pezzi molto personali. Non voglio che questo album sia pensato come un semplice disco di collaborazioni, ma dovrebbe funzionare come una fusione delle tracce vocali mescolate alla parte strumentale, percepite tutte insieme in modo spontaneo, come un flusso naturale.

Hai remixato Pinky’s Dream di David Lynch. Come è stato il tuo approccio alla sua musica? Lo hai mai incontrato?
No, purtroppo non l’ho mai conosciuto. Ma sono un suo GRANDE fan!!! In realtà mi aveva chiesto di remixare un altro brano del primo album che lui aveva pubblicato, ma a me sinceramente non piaceva molto quel pezzo così..ho detto no! E questa è stata una cosa abbastanza folle, visto che lui è uno dei miei pochi idoli (ride n.d.r.) Lui poi mi ha ricontattato e mi ha detto che potevo scegliere qualsiasi pezzo del suo ultimo album e così ho scelto Pinky ‘s Dream perché mi piace molto anche la voce di Karen O e tutta la roba che sta facendo con gli Yeah Yeah Yeahs.

In Into The Great Wide Yonder sembra che tu voglia sperimentare la forza della strumentazione dal vivo assieme a una carica emotiva molto Rock’n’roll. Quale idea c’è dietro?
Diciamo che non è stato un esperimento, ma il senso dell’intero album era più legato a delle mie idee, a come la musica suonava con quello che avevo scritto. Non credo molto nell’idea che esistano dei “generi”..così mi è sembrato giusto inserire nello stesso disco le chitarre ma anche i synths.

In alcuni brani di Into The Great Wide Yonder, ad esempio Silver Surfer, Ghost Rider Go!!!, si percepisce un sound che si avvicina al surf rock anni ’50 e ’60. C’è stata davvero un’influenza di questo tipo durante la sua realizzazione?
Mi sono ispirato a un sacco di musica differente e anche al surf rock degli anni Sessanta così come tu puoi ascoltarlo da artisti del calibro di The Ventures, Dick Dale e musicisti di questo tipo. Così “Silver Surfer” è stato il mio umile omaggio a questo tipo di sound.

Quale è stata la tua reazione quando hai saputo che un brano come Shades Of Marble era stato inserito all’interno del film di Almodovar La pelle che abito?
Sono letteralmente saltato su e giù dalla gioia!!! Sono un grande fan di Almodovar e ho visto tutti i suoi film. Quando mi ha chiesto se poteva usare Shades Of Marble io ovviamente ho detto di sì. La mia felicità è aumentata poi quando ho visto che il brano era stato usato nel film per due minuti in una scena senza alcun dialogo ma solo con la mia musica. Per me è stato grandioso. Mi ha anche chiesto se delle tracce audio all’interno del sound complessivo egli stesso poteva mixarle alle chitarre e alle batterie, e mi è piaciuto il modo in cui lui ha “giocato” con la musica. Era così contento di quella melodia che l’ha usata anche all’interno del trailer ufficiale del film.

Ti sei anche occupato della colonna sonora di un film danese (Det Som Ingen Ved) Come è stato e in che modo hai lavorato alla fusione di musica e immagini?
È stato divertente ed è stato un processo dal quale ho appreso molto, ma ho anche scoperto che serve molto tempo per occuparsi di questo tipo di cose. Così non credo che sia qualcosa che potrei immaginare di fare spesso in futuro, preferisco suonare la mia musica e andare in tour con la mia band. Ma se Lynch un giorno dovesse chiedermi della musica per il suo prossimo film, ovviamente sarei d’accordo! (ride n.d.r.)

Come è nata l’idea di aprire la tua etichetta In My Room?
Volevo semplicemente la mia “piattaforma” con la quale poter pubblicare i miei album, ma anche musica di altri. La libertà artistica è tutto per me e con la mia etichetta posso ottenerla! Nessuno deve dirmi come deve suonare la mia musica, cosa che a volte può essere un problema se sei con una major.

Hai prodotto anche altri artisti come Darkness Falls o Dorit Chrysler. Cosa dovremmo sapere circa la figura di Trentemøller come produttore?
Non è molto diverso da quando produco i miei lavori. Ovviamente voglio lavorare sul loro sound, non sul mio. E provare a rendere quelle idee per i brani ancora più chiare sia dal punto di vista sonoro e, a volte, anche a livello di songwriting.

I tuoi concerti sono una via di mezzo tra un concerto rock e un set elettronico, dove la parte elettronica e quella strumentale sembrano fondersi e confondersi tra loro in un live che punta quasi a sradicare l’idea di dj set puro. Cosa ne pensi e come vivi la dimensione live? Quali sono i tuoi propositi e le tue sensazioni quando sali sul palco?
Ultimamente faccio il dj molto raramente, preferisco suonare la mia musica dal vivo, ma non penso alla dimensione live come una fusione di stili differenti. Suonare dal vivo rappresenta per me più una sensazione…fare la musica che ho in testa e fare in modo che essa si animi sul palco. Così naturalmente ci sono un sacco di chitarre, la batteria e le voci, ma anche i sintetizzatori e i suoni sequenziati. Penso che tutto venga fuori anche dal fatto che ho sempre voglia di realizzare buona musica, musica di qualità. E naturalmente io uso il mio background da musicista per mettere insieme la band, dando ad essa la mia visione musicale. Anche io poi suono le tastiere e altri strumenti sul palco. Spero solo che, quando saliamo sul palco,Trentemøller venga percepito come qualcosa di più di una band, non come me assieme a una “band di supporto” (sorride n.d.r.).

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Negli anni ti hanno inserito all’interno di filoni musicali sempre differenti. Dalla deep house alla minimal techno per poi passare ad una idea di “crossover” elettronico che approda verso i territori più strumentali del rock…ma probabilmente la tua musica non ha bisogno di categorie precise, ma si avvicina più alla voglia di abbracciare e in un certo senso “mixare” diversi aspetti della musicalità secondo il cuore, il sentimento, l’istante del momento. Tu cosa ne pensi?
Sì certo! Ho fatto un sacco di musica diversa. Prima ho fatto molta più roba elettronica poi ho suonato in diversi gruppi cosiddetti “indie” e ho anche fatto alcune cose jazz, ma il mio cuore è sempre stato orientato verso il rock. Amo band come i Cure, Velvet Underground, Suicide, Blonde Redhead, Smiths, Soft Moon, Low ecc. e la lista potrebbe continuare…e questi artisti hanno ispirato il mio lavoro.

C’è anche molta della tua personalità nella musica che fai..come ti senti e in quale fase della tua vita ti trovi al momento? Non è più come “ballare la techno” ma è più come provare a costruire dei “paesaggi sonori” personali, vero?
Non è mai come ballare la roba techno!!! (ride n.d.r.) E sicuramente a volte è come costruire dei personali paesaggi musicali, ma sono molto più interessato a scrivere le melodie. Non solo paesaggi sonori dunque, ma anche belle melodie.Faccio musica in primis per passione. Per me la musica è uno dei modi migliori per descrivere i miei sentimenti e cerco soltanto di carpire l’istante del momento senza pensare alla musica come a una strada per fare soldi! La mia musica dovrebbe riflettere, si spera, a che punto sono arrivato nella mia vita e questo è anche il perché ora non suono esattamente la stessa musica come ho fatto per otto anni.

L’analogico può quindi andare d’accordo col digitale?
Sì certo. Mi piacciono entrambi, ma sicuramente ho una grande passione per tutto ciò che è analogico! (sorride n.d.r.) Il calore e gli elementi organici…e questo anche perché registro tutte le tracce direttamente su nastro.

Negli ultimi anni anche la musica più dichiaratamente “pop” sta diventando sempre più elettronica. Pensi che i mezzi elettronici stiano superando gli strumenti più tradizionali nell’approccio delle persone alla musica?
Mi piace molto l’idea che ognuno possa prendere un iPad e “giocare” con i suoni. Una band come i Flaming Lips, che io adoro, ha usato nell’ultimo album The Terror molte app musicali, ma usandole in modo così fottutamente personale. È un grande album, perché ci sono così tanti suoni che non suonano familiari perché sono stati realizzati attraverso un iPad, con degli amplificatori e poi, forse, con alcuni strani pedali vintage per chitarre…

Forse tutto questo ha molto a che fare con la presenza di un computer ormai in tutte le case e con la facilità di approccio al “Fai da Te”, grazie a programmi di musica e software come Logic o GarageBand?
Certo, tutto questo ha reso sicuramente più facile l’accesso alla possibilità di manipolare e “giocare” con i suoni e la musica.

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Come pensi si sia evoluta la scena elettronica da quando tu sei entrato a farne parte?
Il fatto è che io non mi sento di far parte di quella scena, non ne ho mai fatto parte. Quindi non sono la persona giusta per rispondere a questa domanda.

Prossimi progetti?
Sta per iniziare il nostro prossimo tour, il 14 febbraio, che ci porterà anche in Italia, dove siamo davvero impazienti e felici di suonare. Non vedo l’ora di suonare live con la mia band!!!