Pierpaolo Capovilla – Obtorto Collo

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Indubbiamente, c’è da fare i conti con un elefante nella stanza quando si parla del debutto solista di Pierpaolo Capovilla. Il Teatro degli Orrori e i One Dimensional Man sono gruppi che fanno rumore, che polarizzano, e il confronto tra il nuovo lavoro del frontman e quelli che l’hanno portato alla fama è inevitabile, quindi forse l’approccio migliore è proprio quello di affrontare l’argomento il prima possibile, in modo da poter poi focalizzare l’attenzione sul disco stesso, che di attenzione ne merita parecchia. L’intenzione dichiarata dell’autore è di proporre un’opera che esulasse dal proprio contesto, qualcosa che richiamasse Tom Waits e Scott Walker, piuttosto che Jesus Lizard e Shellac. La considerazione ovvia è che si tratti di qualcosa di più intimo, quella meno ovvia è che proprio in questo senso “Obtorto Collo” ecceda addirittura le aspettative, rivelandosi un soliloquio ininterrotto e viscerale in cui i verbi sono quasi esclusivamente alla prima e seconda persona.

“Obtorto Collo” è fondamentalmente un disco d’amore. È un disco che parla di quanto sia importante fare il possibile per non veder morire le cose che ci stanno a cuore (“La Luce Delle Stelle”. “Arrivederci”), di quanto sia importante non vedersi morire (“Dove vai”, “Quando”) e quanto sia importante tenere viva la memoria di qualcuno o qualcosa che si è visto morire (“Ottantadue ore”). Le liriche sono sempre a metà fra il cantato e spoken word, pregne della tipica potenza espressiva di Capovilla in una forma più mansueta, che richiama i reading delle opere Pasoliniane tenuti dal cantante negli ultimi anni. Proprio dall’esperienza ‘reading’, è nata la collaborazione con Paki Zennaro, che assieme a Taketo Gohara si è occupato della composizione e della produzione del disco (“Dove vai” e “Irene”, le tracce più tradizionalmente pop del disco, sono co-prodotte da Giulio Ragno Favero).

Il risultato è una serie di composizioni scarne, in cui tutto esiste per un motivo ben preciso, in cui contano anche, o forse soprattutto, i silenzi. Non mancano momenti di più ampio respiro, a coronamento di una discreta varietà sonora, frutto di una combinazione stilistica inusuale: dall’elettronica minimale al cantautorato francese, con un ponderato ricorso al coro. Un lavoro chiaramente e profondamente riflettuto, ma non per questo difficile da metabolizzare, che già dalla prima canzone si propone di “entrare nello spazio” dell’ascoltatore, di carpirne l’attenzione sin dal primo ascolto con sfacciata sincerità. Sebbene in alcuni momenti il disco sembri pretendere più spazio di quello che l’ascoltatore casuale potrebbe essere disposto a dedicargli, “Obtorto Collo” offre spunti di riflessione altrimenti assenti nel panorama musicale italiano (o quantomeno quella fetta del panorama musicale legato alla distribuzione in major) e questo dovrebbe bastare a fargli conquistare almeno una nicchia in cui le premesse ambiziose e la divergenza dal passato diventano trascurabili.

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