Owen Pallett – In Conflict

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Owen where were you to stop the fire?

Toronto è una città scintillante: nella sera le palazzine viste dalla CN Tower si vestono delle luci accese nelle camere dei suoi abitanti; ci sono tante vite che si nascondono ai raggi del sole, piccole esistenze stellari che rifuggono dalla vita frenetica di una gigantesca metropoli, e si lasciano ammaliare dalle onde sinuose e calme del lago Ontario. Queste figure notturne vivono all’ombra della loro immaginazione, scoprono nella sera il piacere che trovano nell’ascoltare musica classica, nel suonare un violino o nel leggere I reietti dell’altro pianeta, sognando di mondi gemelli in conflitto: perché socialismo e capitalismo sono solamente simboli che si paleseranno e comprenderanno con una maturità ancora lontana. Tra quelle luci, bagliori di esistenze notturne, c’è anche un giovane Owen Pallett: un figura efebica, dalla fulgida grazia muliebre, un eclettico giovane canadese che ha imparato a brillare di una luce propria e ad imprimere al cielo la sua presenza attraverso la musica e il tempo.

L’essere un’anima incerta, un germoglio di un’esistenza, e il sapere a stento sopravvivere a sé stessi sono solamente espressioni sociali di un immortale alterco corale tra voci spirituali ed emotive difficili da quietare: I was a kid without a heart, my chest an empty cavity, a hole to be filled with the multitudes around me; sono questi i versi che ce lo ricordano in On a path. C’è tutto un vuoto, pronto per essere colmato; e per tentare di sanarlo, bisogna credere in quei pochi fattori di sicurezza ai quali ci si possa ancora aggrappare. La stabilità, infatti, può essere cercata, imitata; e nel trovarla bisogna far affidamento a sé stessi, alle proprie mani: abbracciare un violino e abbandonarsi all’arte, per trovare la pace dentro un eterno conflitto, per trovare la pace dentro In Conflict.

A pochi chilometri dal nostro eccentrico artista, pronta a riempirlo del suo calore, c’è Montreal. Anche lei brilla, splende di un nuovo fuoco: sono le fiamme dei nascenti Arcade Fire; ed è in quella città che Owen vede un pezzo del suo futuro, un nuovo mondo distante dalla caoticità – e insicurezza – alla quale era stato abituato, perché Montreal might eat its young, but Montreal wont’t break us down (cantava con convinzione in This Is the Dream of Win & Regine, ai tempi del progetto Final Fantasy). Toronto is kind of a shithole. Every city is kind of a shithole. Except Montreal. Montreal is fucking great; eppure in quell’infimo buco del mondo Owen c’è rimasto per ben quindici anni, ed è di questo che si parla in On a Path: You stand in a city that you don’t know anymore, spending every year bent over from the weight of the year before. Ogni anno che passa, un peso che si aggiunge, un cumulo di sofferenze pronte a moltiplicarsi alla ventiquattresima ora di un qualsiasi dato giorno. E se combattere è inutile, fuggire è ingannevole: We tried to rule the world but we couldn’t get beyond the front door (Infernal Fantasy), dove quel we suona perdutamente generazionale, benché intimo, ristretto, claustrofobico.

Essere un musicista canadese vuol dire procedere nell’incertezza, ma la fede tornerà da te, amico mio – si dice speranzoso in The Secret Seven. Però banalizzare una vita e legarla ad un luogo di appartenenza non ha senso; Owen lo sa bene, non è Toronto il problema: è non sentirsi in primo luogo parte di sé stessi, e poi sentire di mancare alla specie umana. La città nella quale si nasce è frutto della casualità, e come può un fattore irrazionale dominarci? È a questo bisogno di razionalizzazione, stabilità e certezze che fa fede la musica di In Confict: un disco lineare e per questo rivoluzionario. The Riverbered inizia a suonare e si sentono le paure, le notti insonni, i pianti gettati alla terra del Thompson Park che riverberano in suoni stridenti e voci angeliche; tutto però è coscienziosamente riordinato, ripensato, messo in rapporto con la musica: c’è l’essere arrivati ai fatidici trent’anni con l’angoscia di non poter avere mai alcun figlio, e vi è la presenza ferale di un mondo pronto a dimenticare ciò a cui esso stesso dà vita, il tutto sotto un incessante – nonché pericolosamente routinario – Mi bemolle. Una marcia veloce, una vita che lo è ancora di più, e al vertice di essa un cumulonembo, dal quale sembra stia per abbattersi la più tetra delle tempeste.

Allora si cerca una via d’uscita, un qualcosa che possa restituire gioia; fuori dal quell’imponente Mi bemolle, e dentro invece la circolarità di Infernal Fantasy, dove un fiducioso Brian Eno canta: Wait for sunlight, wait for another time, wait for sunlight, wait for another life. E così lo tsunami orchestrale di Chorale viene a quietarsi e trova nella concretezza ciò a cui anelava: My salvation is found in discipline, discipline, discipline.

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