Goat – Commune

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La danza dei Goat è come una babele antropologica che, tra psichedelica ed etnografia del suono, fluttua in un limbo ritualistico facendo della mescolanza “esoterica” la sua forma più puramente trascendentale. Visioni dalla forte carica ancestrale dunque che dal 2012 con World Music giungono sino a Commune rigenerandosi e allo stesso tempo reincarnandosi, conservando la stessa formula ritmica, con quella matrice ibrida, ossessiva e psicotropa, tipica del gruppo. Un viaggio intrapreso dalla band svedese che dalla polverosa Africa del debutto pare lambire ora le lande d’Oriente, passando dalla calda e battente terra bollente dell’esordio a un cielo fatto di allucinazioni dilatate e aeree.

Commune è pur sempre uno strabordante sabba sonoro, ma dal taglio meno ridondante di World music e dall’attitudine “magica” quasi più intimista e meno vicina all’esuberante trascendenza collettiva degli inizi. La catarsi tribale si fa così fantasticheria lisergica, mentre tra le percussioni si fanno largo in maniera ancor più evidente vibranti vortici di fuzz e wah wah e ruvidi e oscuri graffi chitarristici in pieno stile Sixties/Seventies, il tutto ben fuso alle apoteosi funk e world-beat e alle urla liberatorie pennellate tra un brano e l’altro. Sibili lontani e tintinni espansi (Talk To God), trance percussive e animiste (Words), spiriti vocali (Goatslaves) che accompagnano evocativi resti strumentali (To Travel the Path Unknown) si animano all’interno dell’album custodendo l’ispirazione primordiale della band in maniera raffinata.

La proposta musicale dei Goat, pur risultando ai più forse un po’ uguale a sé stessa, continua inesorabilmente a stregare anche tra le malie di Commune col suo mantra ipnotico e la sua litania rituale, con la sua energia primitiva e il suo voodoo groove pregno di quel verbo che sale direttamente dalle viscere dell’universo. Perché in fondo è dal Mondo che i suoni veicolano i messaggi più incisivi.