Rollins Band – Life Time

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18 Novembre 2014 Dischord Records Henry Rollins

Fine anni ottanta, la violenza e la durezza dei Black Flag si riversano in un nuovo progetto, che rappresenta un modo del tutto naturale per Henry Rollins di ridare voce a tante di quelle immagini e sensazioni che va creando in maniera decisamente prolifica dai suoi movimentati inizi.

Tutti conosciamo quanta influenza i Black Flag ebbero, musicalmente e socialmente parlando, nell’ambiente hardcore: ovviamente da questa posizione di spicco che essi rappresentavano, quando Rollins decise di avviare la sua carriera – più o meno – solista, le voci che si alzarono dai suoi fan furono piuttosto di sfiducia: dove si sarebbe andati senza Greg Ginn? questo era il dubbio che lasciava molti titubanti. Eppure la storia ci ha insegnato che le esigenze, se forti, sopperiscono alla mancanza di una formazione già consolidata. E infatti, dopo le esperienze di Hot Animal Machine, e l’ep Drive-By Shooting, arriva il primo album studio della Rollins Band: Life Time.

E sicuramente quest’album non si inserisce, a livello stilistico, in quell’ultima manciata di dischi dei Black Flag, i quali sembravano correre verso una regolarizzazione delle forme rock, perdendo molto della loro visceralità, istintività. No, da un certo punto di vista infatti è un ritorno a quegli urli tarzanici, alle angosciate chitarre sporchissime, ai quei liberatori finali noise, e a quanto di più masochistico e feroce possa esistere nel mondo musicale. Tutto diventa pesantissimo, heavy nel verso senso della parola.

E se la musica è anima, il testo è dove questa trova la sua concretezza; l’odio di Rollins – che si allarga verso tutto quanto è percepibile da occhio umano, si potrebbe dire – si riassume tutto in Lonely, e nel suo attacco, dove si canta:

I hate the world that I think hates me.

Se vi aspettate un processo di intenerimento interno al disco, rimarrete delusi: l’inizio e la fine coincidono in rassegnazione e rabbia, e quindi in potenza dell’urlo. Questa profondità dimostrata da Rollins, fa sì che Life Time sia uno degli album più intensi di tutti gli anni ottanta, e vorrei rimandare in particolare a un pezzo, uno dei migliori: Gun In Mouth Blues, dove voce e emozioni vengono perfettamente a coincidere, dando vita a un risultato quasi pauroso, da far tremare le pareti di casa, e quanto è più emotivamente sconvolgente è che l’apice lo si raggiunge solo dopo una silenziosa e calma pausa. Si potrebbe dire la tempesta dopo la quiete: che sicuramente provoca effetti di stupore ben maggiori, rispetto al suo contrario. 

E di certo, in tutta questa espressività del disco non gioca un ruolo minore il produttore Ian MacKaye, padre di uno dei gruppi, dei quali proprio in questi giorni viene messa in circolo la prima demo: i Fugazi

I had no producer for this record and feared that since everyone in the band had strong opinions on how it all should be done that if we tried to do it ourselves we would do more harm than good. I called Ian MacKaye and asked for help. He got on a plane and came right out. That’s Ian. We got straight to work as we had little time or money. All twelve songs were cut and mixed in a few days. 

Una ristampa necessaria, per uno dei dischi che segnalano – al di là della scena hardcore degli anni ottanta – l’entrata dell’uomo contemporaneo in ambito musicale: Rollins è l’uomo che combatte e si strugge nella sua lotta contro l’alienazione, la solitudine; colui che avverte con timore i primi grandi ampliamenti dei mezzi d’informazione – con il bombardamento mediatico da qui derivante -; il cantante che mette a nudo la propria fragilità, nell’era della massa. Rollins è l’uomo, basta questo.
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