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24 febbraio 2015 | Don Giovanni | screaming females | ![]() |
I confini di tutto quello che includiamo nell’accezione di una parola formata da quattro lettere, possono essere labili. Del resto, nessuna descrizione di quello che rappresenta o vorremmo rappresentasse, potrebbe essere migliore di quella data dal maestro Bangs. Parliamo ovviamente del punk, qualsiasi cosa significhi per ognuno di voi. Per Marissa Paternoster, per me, e per altri, credo abbia rappresentato una normale risposta immunitaria, l’unica risposta plausibile che andasse nella direzione sperata. Non perdere la propria essenza.
Capita quando si è fragili, in rampa di lancio verso un mondo che non terrà mai conto – giustamente – del vostro apprendistato in corso. Per Marissa fu lo stesso. Come da copione, da introversa ragazzina del New Jersey qual era, pigliava le botte a scuola e veniva schernita nel proprio quartiere. Forse perché non vedeva, non amava e non venerava tutto il cangiante universo a stelle e strisce che i suoi coetanei brandivano con tanto orgoglio: o forse perché se ne andava sempre in giro con quel cazzo di sketchpad pensando solo a disegnare. Cambiò scuola, e siccome nulla capita per caso e l’anagrafe è demonio a sette teste – Patrenoster Ndr – ne scelse una Cattolica. Non che sua madre ne tantomeno suo padre fossero praticanti convinti, tutt’altro, ma c’era quella. In ogni caso, la nuova tana risultò ottima per leccarsi le ferite e coltivare la propria viscerale passione per il disegno: a patto che non si utilizzi il materiale di scena a scopo erotico, le regole furono chiare fin da subito.
Più o meno verso i sedici, i bisogni espressivi della Paternoster mutarono, forse per colpa della sporca chioma di Cobain o della pelata a là Nosferatu di Corgan; il Grunge era nel suo periodo fiorente. Cominciò a registrare tracce vocali nel computer del padre sulle acide note del suicida di Seattle, quando fortuitamente una sera venne sorpresa dallo stesso genitore. Era un libertino, ma moderato, teneva una fender in soggiorno per ricordargli i fasti di un passato che forse non c’erano neanche mai stati. Da bravo genitore, volle aiutare Marissa non senza uscirsene con un:” questa che stai ascoltando è facile te la insegno io“. Doveva farlo, veniva dalla vecchia scuola, e noi non sapremo mai di cosa stesse parlando.
Marissa ci mise l’anima, e con il passare dei giorni anche la propria tecnica migliorò. Non temeva quasi più il palco, la gente ed il dover far qualcosa per se stessi mentre il mondo ti osserva. Era pronta. E’ quel proverbiale fuoco che s’innesca quando ti rendi conto che sei bella o brava oppure intelligente o come nel mio caso: uno ti travolge con un fallo assurdo da dietro e ti ritrovi a mangiare la terra del campetto. Non diventai un campione solo perché in seguito conobbi il punk, e il cerchio credo si possa chiudere.
Oggi gli Screaming Females sono al sesto disco e se fin’ora non li avete mai sentiti nominare non significa che questo articolo non possa servire anche alle vostre esistenze. Per renderveli maggiormente simpatici e appetibili dirò che possiedono un processo compositivo: Do It Yourself. Cosa vera e testimoniata dal fatto che gestiscono autonomamente i propri tour, creano da soli i propri videoclip, e si disegnano pure le copertine degli album. Qui rielaborano il loro processo compositivo grazie anche alla produzione di quel Matt Bayles già al lavoro con band del calibro di Mastodon, Isis e Russian Circles. Un disco che però finisce per suonare dannatamente curato, lasciando campo aperto agli assoli Sabbathiani della Paternoster e poco alle dinamiche da sottrazione del punk. Un album con il quale i nostri fuggono dalla penombra punk dei fatiscenti sottoscala di Elizabeth – La cittadina natia – dimostrando al mondo intero che anche loro possono.
Nell’iPod dei futuri bulli e nei cervelli di quelli passati, Rose Mountain rappresenta un ritorno verso casa. Anzi, verso l’idea comune di casa. Una dinamica piuttosto appagante per chi ha vissuto per anni da outsider ed oggi depone le armi in favore di un altro cerchio chiuso. Tra l’altro credo sia stata la stessa storia accaduta a Giovanni Ferretti, qui spurgata dall’ideologia politica, sia di destra o di sinistra, come se ci fosse differenza.