Susanne Sundfør – Ten Love Songs

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L’amore è una storia strana, meravigliosa, contorta e dolorosa. Soprattutto in Nord Europa a giudicare dalle ultime releases. Parliamo ovviamente di “Vulnicura” di Björk la quale ha esposto una specie di manifesto poco prima di rilasciare l’album; una sorta di catarsi che funga da panacea per i dolori del cuore. Qui non siamo in Islanda bensì oltre il mar di Norvegia, ad Haugesund per la precisione, e parliamo di un’altra grandissima artista nordica: Susanne Sundfør la quale taglia il traguardo del quinto long-play. Ten Love Songs come indica esplicitamente il titolo, contiene dieci dediche all’amore, sicuramente non nella sua accezione più tradizionale.

Un amore piuttosto struggente ma allo stesso tempo divertente, spassionato, erotico, rilassato, intellettuale, disperato. La nostra Susanne lo descrive musicalmente mediante una perfetta salsa Electro-Pop dalle tinte malinconiche ma incredibilmente orecchiabili. D’altronde questo era il suo obiettivo: spingersi oltre il precedente album per realizzare melodie ancora più catchy e di facile assimilazione, in un mondo che si discosta molto dalle costruzioni cerebrali di Björk che si avvicina a quello più spensierato della connazionale Annie.

Chi la conosce da sempre si troverà di fronte alla conferma di un progresso incredibile, una continua ascesa che dista anni luce da quel The Brothel che l’ha spinta leggermente oltre i confini nazionali. Come in quella occasione, anche oggi continuano le collaborazioni coi vicini Jaga Jazzist e Lars Horntvedt, i quali fanno da ponte di raccordo fra gli esordi di Susanne e le sperimentazioni attuali. Chi ha macinato con gli ascolti The Silicon Veil sa di cosa stia parlando: ora più che mai siamo di fronte ad una perfetta sintesi fra le fredde e movimentate macchine electro dei synth e le calde e rassicuranti modulazioni vocali.
Ma i passi in avanti sono qui tangibili. Susanne sono anni che collabora con i cugini Röyksopp e con Kleerup, diventando un pendant dell’electropop nordico se si va a guardare la vicina Robyn. In Ten Love Songs questi artisti co-producono tutti una manciata di brani, mentre la nostra non si scomoda di volare fino a Los Angeles per aggiungere al suo corollario Anthony Gonzalez degli M83. Per l’occasione, l’artista Francese abbandona le proprie consuetudini musicali firmando il pezzo più lungo e struggente dell’album: una lunga sinfonia (“Memorial”) a metà strada fra una pastorale e la musica classica, quella peculiarità che Lana del Rey non ha mai avuto a causa di una limitata scala vocale. C’è però da dire che, nonostante l’ospite di eccezione, il brano non spicca particolarmente fra gli altri; molto migliori sono l’opener frantuma-cuori (da dedicarsi dopo la fine di qualsiasi relazione amorosa per volare dal terzo piano) e la doppietta electro “Accelerate” e “Fade Away” dai chiari rimandi Bachelorettiani e Röyksoppiani.

Trust Me” e “Silencer” si ricollegano a quel meraviglioso, ma ormai sorpassato, Electro-Folk Jazzy degli album precedenti, con una Susanne perfettamente identificata nel suo personale modo di cantare fatto di sovrapposizioni stratificate e magistrali sinfonie vocali. Nonostante possano apparire al neofita come un ridondante esercizio di stile, i brani arrivano direttamente nella testa e nel cuore e sono sempre alla ricerca di un certo easy-listening che caratterizza particolarmente la musica scandinava. “Kamikaze” sboccia con le sue pulsazioni electro, regalando forse le più belle melodie dell’album, mentre “Insects” chiude il decalogo con inedite schizofrenie glitch, sottolineando il buon gusto della Sundfør nello scegliere sonorità e produttori che diano forte e chiaro il rispettivo e personale segnale, ma senza snaturare l’ariosità e la leggerezza dell’impronta vocale. Semplicemente un disco per amare.