Crocodiles @Monk Roma – 21 giugno 2015

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Attitudine e Visual

Il Monk si sta davvero rivelando un gioiello nel panorama musicale romano. Un’accogliente giardino con palco e bar laterale apre sia l’agognata stagione estiva dei live che il percorso alla sala interna: più che adeguata ad accogliere il non numerosissimo pubblico per la serata The Hand + Crocodiles.

Audio
L’assenza di un ingegnere del suono resident non incide minimamente sull’impatto acustico della serata. L’audio è finalmente di ottima qualità, ed il finalmente è esclusivamente riferito alla scena romana, spesso incurante dell’orecchio esigente di migliaia di fruitori, stanchi di dover patire ingiustizie foniche di ogni sorta.

Setlist
La scaletta della serata è piuttosto breve ma ripercorre fedelmente le sonorità espresse da Summer of Hate fino all’ultimo Boys. Tra i pezzi eseguiti: Foolin’ Around, Marquis de Sade, Transylvania, Cry Baby Demon, Mirrors, Do the Void, I Wanna Kill, Jet Boy Jet Girl.

Pubblico
Un po’ pochino per l’occasione, ma ben variegato. Tra magliettine dei Cure, tatuaggi degli Einstürzende Neubauten e toppe di Morrissey si confondono stili garage e punk revival.
Il calore e la voglia di divertirsi non manca.
Pochi, ma buonissimi!

The Hand + Crocodiles_Monk_Roma_21062015
Locura

I movimenti netti ed isterici del chitarrista Charles Rowell catturano l’atmosfera cupa e priva di illuminazione del Monk: prendete Elvis Presley e shakeratelo con Ian Curtis, il risultato che avrete è pura ipnosi punk!

Momento migliore
L’allegro pubblico si lascia coinvolgere dai continui incitamenti del leader Brandon Welchez ad abbandonare la timidezza; particolarmente apprezzate risultano Foolin’Around ed I Wanna Kill.
Il momento migliore è senza dubbio l’ultimo pezzo in scaletta, Jet Boy Jet Girl. La cover di Elton Motello vede per l’occasione esibirsi insieme ai Crocodiles i The Hand, intrigante band drone ‘n’roll romana, opening act della serata.

Conclusione
Conobbi i Crocodiles qualche tempo fa, dopo essermi imbattuto in una discussione che li riguardava da vicino: il loro noise rock dalle venature oscure mi catturò immediatamente. Probabilmente la cosa più intrigante risiedeva nei tanti accostamenti con i “miei” Jesus and Mary Chain – capaci di catalizzare l’attenzione del discorso per decine e decine di serate, disquisendo sulla corretta categorizzazione del loro stile musicale: shoegaze o post punk? Ancora oggi mi chiedo il perché di tanto tempo perso inutilmente, così come non mi spiego perché si debbano scomodare i mitici fratelli Reid per descrivere il sound di questa interessatissima band statunitense.

I 4 di San Diego, infatti, dimostrano di avere ben poco del grigio cielo scozzese, sprigionando quel vortice energetico in seno alla gioventù californiana; il loro noise rock non inventa nulla, è vero, ma la gente balla, salta, suda e sorride. In fondo, ballare saltare sudare e sorridere è esattamente quello che si chiede ad un concerto rock. No?

di David Gallì

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