Attitudine e visual
La data di Umbertide (PG) di Sun Kil Moon è un evento nell’evento: segna il ritorno di Rockin’Umbria, il festival che da oltre trent’anni ha portato grandissimi nomi del rock internazionale in terra umbra e che per diverse ragioni era fermo dal 2012. La scomparsa un anno fa di Sergio Piazzoli, promoter storico e ideatore della rassegna, ha segnato profondamente la collettività rock della regione, trovatasi improvvisamente a dover fronteggiare il vuoto che ha portato con sè il tragico evento. Riportarlo ad Umbertide, sua location storica, dopo quattro anni, con un nome tanto prestigioso quanto coraggioso per il pubblico locale ha rappresentato una bella scommessa, che a conti fatti possiamo senza ombra di dubbio considerare vinta. Come si può immaginare c’era molta attesa per questo live, e il pubblico ha risposto in maniera più che soddisfacente.
La cornice che l’ha ospitato è incantevole: quella piazza San Francesco nel centro di Umbertide che avevamo lasciato l’ultima volta nel 2011 con la performance di Joan as Police Woman. Il palco è allestito in maniera semplice e sobria, poche luci e poca scenografia, mentre la platea è stata riempita di sedie ordinatamente disposte in file. Mark Kozelek si presenta un po’ alticcio, quasi fosse lì per caso, accompagnato da ben due batterie, fatto che per tutto il concerto ci lascia piuttosto basiti. La prima domanda che ci siamo posti è stata infatti: “a cosa gli serviranno mai due batterie?” e la risposta non l’abbiamo trovata nemmeno alla fine del set.
Con lui sul palco altri due giganti dal passato glorioso: Neil Hailsted degli Slowdive e Steve Shelley dei Sonic Youth. Durante l’esibizione Kozelek sembra voler attirare la nostra attenzione su qualsiasi cosa eccetto cantare: si tratta chiaramente di una posa, di un atteggiamento fra il distaccato e l’infastidito. Fastidio per i cellulari, fastidio per le foto, fastidio per le sedie e la gente seduta, fastidio per un povero avventore affacciato dalla finestra di casa sua che dà sulla piazza. Eppure si capisce benissimo che sta solo cercando di non concentrarsi troppo su di sé, di non appesantire ciò che sente incredibilmente pesante e che rende invece magica la sua musica. Ci vuole pazienza ai concerti di Sun Kill Moon, ma si tratta solo di superare quella fase in cui Kozelek cerca a tutti i costi di farsi odiare dal suo pubblico, come da se stesso. Trasmettendo tutto il suo fastidio, fra un pezzo e l’altro non smette mai di rompere l’atmosfera; e se si riesce a non mandarlo a quel paese dopo i primi cinque brani, allora il gioco è fatto.
Audio
La venue all’aperto non riserva grosse defaillance e l’audio è pressocchè perfetto, calibrato principalmente per i posti a sedere, che presto rimarranno per lo più vuoti, dal momento che Kozelek ci “invita” tutti ad alzarci e a stare sottopalco, dove però la resa risulta essere meno buona: in compenso, ne guadagna l’empatia. Per chi ce la fa, ovviamente. Gli altri tornano a gustarsi lo spettacolo e la musica seduti nelle retrovie.
Setlist
Mariette
Hey, You Bastards, I’m Still Here
Micheline
Richard Ramirez Died Today Of Natural Causes
The Weeping Song
Carissa
The Possum
Ali/Spinks 2
I Watched The Film The Song Remains The Same
Dogs
I Can’t Live Without My Mother’s Love
This Is My First Day and I’m Indian and I Work at the GAS Station
Cealing Gazing
Locura
Come già accennato sopra, di momenti folli durante il live ce ne sono stati più d’uno: ma non era una novità, visto il personaggio. Quello che forse non ci saremmo mai aspettati era di vedere salire sul palco un paio di fan sbrigliati che sono riusciti a ballicchiare sui pezzi di Sun Kil Moon mentre lui li eseguiva beatamente ignorandoli. Una scena surreale, da un lato comica dall’altro anche un po’deprimente. Veniva quasi da urlargli: “Ehi Mark, ci hai rubato gli smartphone dalle mani, ti sei arrabbiato contro una persona che ti stava spiando dalla finestra, hai persino inveito contro una bambina: che ti prende? quello è il tuo palco, falli scendere subito!”
Pubblico
Pubblico numeroso oltre ogni più rosea aspettativa e soprattutto molto coinvolto. C’erano per lo più estimatori convinti, ma anche chi ha colto l’occasione per conoscere Sun Kil Moon dal live per la prima volta ha accolto silenziosamente e religiosamente la litania del suo concerto. Nessun borbottio, molta curiosità, grande attenzione per la platealità dell’esecuzione. Qualcuno va via però anche sfiancato dalla performance così inframezzata dalle continue distrazioni extramusicali.
Momento migliore
Il live è cresciuto verso la seconda metà, assestandosi dopo le scosse iniziali legate all’attitudine tipica dell’ex Red House Painters. La magia e la commozione l’abbiamo sfiorata più di una volta, nonostante tutto: e quando è partita “I can’t live without my mother’s love” abbiamo pensato che il vecchio Mark con le sue idiosincrasie e le sue facezie teatrali non era riuscito a rovinarci l’amore per le sue canzoni folli, disadattate, sublimi e sofferte.
Conclusioni
In conclusione possiamo ben dire che Mark Kozelek fosse particolarmente in forma ad Umbertide: lo testimonia anche il bel feeling che è riuscito ad instaurarsi con la platea. Cionondimeno, un live di Sun Kil Moon rimane un’esperienza estremamente bipolare: un continuo saliscendi di emozioni, la voglia di prendere e andare via mitigata un secondo dopo dalla fascinazione della sua musica. Non sai se odiarlo o volergli bene: ma in fondo si finisce per capire cosa spinga un autore come lui ad inscenare continuamente un siparietto ridicolo e antipatico fra una canzone e l’altra. Non ci sta, non ha voglia di fare semplicemente quel che deve fare: deve ad ogni costo provocare, insultare, creare reazioni. Da solo su quel palco proprio non vuole sentircisi: meglio odiato, che ignorato. Ed è anche per questo che la sua arte disperata è riuscita a commuoverci.