Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: (da 1 a 5) |
4 Settembre 2015 | Captured Tracks | Widowspeak |
Un semplice ed estremamente lento movimento alla batteria ed ecco che il nuovo disco dei Widowspeak si avvia al minimalismo della forma folk: una reinterpretazione firmata Victoria Legrand e Alex Scally dei pezzi di Karen Dalton, almeno così sembrerebbe. La bicromia della copertina, con tanto di criniera bianca simil-tridimensionale in primo piano, è un secondo, forse accidentale, richiamo ai Beach House. Ma probabilmente è già troppo lodevole definire All Yours a questa maniera.
I Widowspeak – al terzo album – sognano un tentato piccolo passo verso un percorso positivamente connotato, ma che ancora non si risolve in nulla di memorabile; se tra una settimana è ancora sul vostro iPod sarà già un grande successo per il duo composto da Molly Hamilton e Robert Earl Thomas. È inutile dire che i Fleetwood Mac nei vecchi ’70 facevano di meglio, e sarebbe anche poco conveniente e corretto sostenerlo, sopratutto nei confronti della nuova scena folk (quella dove vecchia e nuova maniera si confondono) che sta facendo brillare questo 2015: Father John Misty, James McMurtry, Jason Isbell e Sufjan Stevens su tutti. I Widowspeak – che, per quanto siano dream-pop, hanno delle più che evidenti e solide basi folk a sostenerli – fanno combaciare l’insulsa retromania al femminile dei Tennis con qualche bagliore di lucente dolcezza, in stile Laura Veirs, senza avere di quest’ultima né il tatto né il gusto. The Swamps, nel 2013, rappresentò un bel momento: 19 leggeri e sognanti minuti, con Calico che chiudeva in sé il cerchio di una visione musicale. All Yours invece è un “visto” musicale, nel senso di qualcosa che è già passato.
Borrowed World, pezzo che vede eccezionalmente alla voce Robert Earl Thomas, segna un indeciso punto d’incontro tra The Milk Carton Kids e Neil Halstead, dove i Widowspeak sono alla ricerca della spigliatezza del pop, genere che vorrebbero rivendere alle masse, però, imbrillantinato di fulgore color seppia, quello che dipinge magnificamente il folk di buona fattura. Il risultato è una canzone che potrebbe essere tranquillamente di Jason Mraz… e se suona come un’offesa, allora sì, state intendendo il paragone nella maniera corretta.
Questo aspetto domestico che il pop sta assumendo è davvero pericoloso: tutto giardini e mansarde, violette e cuori che marciscono sotto le tavole del parquet – Dead Love (So Still). Fortuna che ogni tanto arriva qualcuno e si impone con serietà e maturità: Mascara, blood, ash, and cum / on the Rorschach sheets where we make love.