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18 settembre 2015 | Virgin EMI | keithrichards.com | ![]() |
Keith Richards è un emblema che va oltre la fisicità della persona. Sopravvissuto, sì agli eventi, ma soprattutto a se stesso. Quando qualche mese fa ha raggiunto la soglia dei settanta, la scienza non ha saputo dare razionalmente una spiegazione. Mai uguale a se stesso, nonostante giochi una carriera sui famosi riff degli Stones anni sessanta. Anima demoniaca del buon Jagger, ma forse non del tutto, in una sorta di gioco interscambiabile. Attore piratesco, personaggio istrionico, insomma un monumento vivente. Vederlo sul palco oramai è poco più di una fotografia, ascoltarne le interviste è come leggere un copione dei Python, eppure il buon vecchio Keith, ogni tanto ricorda di essere un musicista, e che musicista.
E così, senza prendersi particolarmente sul serio incide un disco come Crosseyed Heart che affonda le sue note nelle passioni più selvagge di Richards: il reggae delle origini, il rock più essenziale, fino a quel blues in omaggio a Charlie Patton e Robert Johnson che tanta influenza ha avuto sulla nascita degli Stones. Pezzi come “Blues in the morning”, “Trouble”, “Love Overdue” e “Robbed Blind” più che pennellate di autore, sono veri e propri graffi di artiglio. Acidi e diretti come uno sputo in faccia, come se Richards fosse tornato indietro agli anni della post adolescenza, e guardando il vecchio compagno Mick gli dicesse: “Pensavi fossi totalmente rimbecillito Mick, ascolta qua….”.
Da segnalare anche la collaborazione a firma Norah Jones nel pezzo “Illusion”, che rende questo album una piccola pietra preziosa e inaspettata: ricordandoci che presenza scenica e talento smisurato, nei grandi, passeggiano a braccetto.
Giù il cappello Mr. Richards.