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15 Ottobre 2015 | Woodworm Music | Scisma Facebook | ![]() |
I sigari, le cartoline sbiadite e la polvere
Sono nato nel dicembre del ’93 con mio nonno materno già scomparso da tempo. Sono nato e cresciuto accanto ad una mia personalissima creazione letteraria della sua figura, tanto che non mi sono mai dovuto porre interrogativi su quella che era la mia esistenza, e come sarebbe potuta essere, invece, la stessa ma con la sua persona accanto alla mia. La situazione sarebbe stata la medesima: l’invenzione – che nasce da un bisogno psicologico – soppianta gli elementi terreni. È affascinante l’idea che la nostra stessa persona possa tirare fuori da sé cose per il proprio bene, inventarle, e sentirle vicine – come un metaforico Giove e una concreta Minerva.
Un giorno, però, a casa di mia nonna, nell’aprire cassetti e armadi vari, mi si presenta davanti agli occhi un vecchio baule, ligneo, dalle curve morbide. Nell’aprirlo, dentro vi trovo confezioni ancora chiuse di sigari, una manciata di polvere e qualche cartolina sbiadita. Ogni elemento era la conferma di un tratto diverso di mio nonno: il piacere che doveva provare nell’accendersi qualche sigaro tornando dal lavoro e la sua prematura scomparsa, ancora molto lontana dalla mia nascita. Quel momento è stato l’unico concretamente valido per poter legare la sua persona alla mia.
La luce, il rock e la poesia
Gli Scisma sono nati nel ’93. Muovono i primi passi e in poco tempo – dopo le autoproduzioni di Pezzetti di carta e Bombardano Cortina, quest’ultimo a due anni dalla loro alba -, già nel ’97, danno alla luce Rosemary Plexiglas, sotto la produzione di Manuel Agnelli. Il resto è rappresentato da voi che oggi vi commuovete pensando alla Mazo e a Benvegnù mentre cantano nuovamente assieme Negligenza, Videoginnastica, Psw, Good Morning e Simmetrie, e che avete intrecciato il vostro percorso di vita a quello dei loro dischi, come la vite lungo i filari. Io, noi, loro… non fa differenza. Prendete la mia storia e metteteci la vostra. Perché stranamente è questo l’effetto del rock italiano: è salvifico – quando è fatto bene, quando usa le parole adatte -, è il giusto confidente, lo specchio delle necessità. Gli anni ’90 hanno rappresentato la liberazione verso le cupe vampe della distorsione, il momento adatto per potersi liberare di sé stessi: lo stesso anno di Rosemary Plexiglas esce Hai Paura del Buio?, quando pochi mesi prima era uscito Linea Gotica dei C.S.I.
Io e il rock italiano non ci siamo mai incontrati, siamo cresciuti assieme ma distanti. È come conoscere, un giorno, già da adulti, una persona che ha frequentato il tuo stesso liceo esattamente nei tuoi stessi anni, ma in una sezione differente. Il rock italiano per molti di quelli nati negli anni ’90 è stato assaporarne la scia, vederne il corpo in un lettino d’ospedale, berne l’ultimo sorso, quello in cui è più l’acqua lasciata dal ghiaccio che la bevanda in sé per sé. Tuttavia, ogni tanto viene data anche a noi la possibilità di vedere la luna risorgere dai rifiuti, la luna viola del Santo Niente, tanto per fare un esempio.
Ferma, replicare, reiterare, ripetere
E allora eccoci – non più nel giugno 2010 dei Massimo Volume (Robert Lowell) – ma è il 2015 degli Scisma. È il gioco perfetto: la musica si insegue, si regala sorrisi dalla lunga distanza per poi accorgersi, solo passati diversi anni, che ogni percorso finito e ricco, colmo di significato, vuole che si vada da A per tornare ad A (per strade secondarie e tortuose / e scopro che la fine è sempre l’inizio – Da A ad A; Morgan).
Quindici anni fa non avrei mai immaginato che… dopo quindici anni ci saremmo rincontrati, questo è quello che si sente in sottofondo, nel finale di Stelle, Stelle, Stelle, brano che conclude Mr. Newman. Effettivamente nessuno vedeva più gli autori di Armstrong come un qualcosa di contemporaneo, erano legati al passato e lì destinati a rimanere, come un prezioso trofeo in una vetrina appena lucidata. Erano i ah i bei tempi della musica italiana, mica quello che c’è in giro adesso. Prima si parlava di gioco, quel movimento scomposto che a quanto pare ricomincia in un nuovo giro di roulette, in moto costante, coerente nel rispetto delle proprie regole, è questo l’elemento fondamentale:
This is the perfect game,
Such a perfect game, my love.
(Darling, Darling!)
Oh such a perfect game
(Stelle, Stelle, Stelle)
È la musica elementare, che possiamo intendere come elemento costitutivo di un qualcosa, essenza impermanente, fragile come un cristallo di neve o di resina (Neve e Resina); è la musica che va alla ricerca di sé stessa, e lo fa muovendosi per strade differenti: Darling, Darling! assume lo stesso ruolo in questo EP di quello svolto da Finché Saprai Spiegarti all’interno di Zero dei Bluvertigo (andamento a singhiozzi, rotture, mistura di inglese e italiano, movimenti dinamici e stridenti); brano, quest’ultimo, che rispecchia a sua volta il Bowie di Fame, quando invece Musica Elementare – la canzone – è un sinistro punto di incontro tra Ivan Graziani e gli Amor Fou dell’ultimo periodo. Ma anche tra i bassi coinvolgenti e decisi, l’assioma rimane:
Perché io non sono che una parte di me,
perché tu conosci solo parte di me,
soltanto musica elementare
(Musica Elementare)
L’immagine che viene subito in mente pensando a Mr. Newman è la foto di Yves Klein dal titolo Saut dans le vide: il fotografo si butta e non cade mai, se non nella magia del fotomontaggio. Quel salto nel vuoto, gli Scisma lo hanno fatto tornando assieme dopo quindici anni di attesa (trascendendo l’aria come si canta nella bellissima L’equilibrio) e si riassume solamente in punti interrogativi – che non sono i nostri sul loro effettivo valore, e sul suo essere costante o meno – ma sono proprio quelli che scendono in una cascata di stelle, precipitando dalla quale nessuno si fa male:
È vero questo corpo?
È vera questa vita?
Gli alberi, le case, i deserti?
Oh, such a perfect game,
Se tutto è vero,
È bellissimo.
Non so perché.
(Stelle, Stelle, Stelle)
L’elemento chiave sta proprio in quel non so perché. Sta tutta qui la perfezione del gioco, nel suo essere preciso ma privo di scopi, di punti di arrivo (l’orizzonte è la meta – Metafisici). La canzone appena citata e la seconda traccia dell’EP, ovvero Neve e Resina, manifestano il ruolo primo dell’indeterminatezza:
Così sei condannato alla lucidità.
E non vedi più niente.
Come un salto nel vuoto,
Come danza nel fuoco,
Come un sogno infinito.
(Metafisici)
E inventerò mondi che non vedrai mai,
e inventerò un suono che non saprai mai,
e inventerò mondi che non sai
(Neve e Resina)
Scusa se ti ho amato in ritardo. Incredibile
Adesso è il momento di tirare le somme, dare il nostro giudizio. Scisma sì. Scisma no. Scisma forse. Però, almeno questa volta, è giusto lasciare una conclusione aperta per terminare la nostra recensione; per non giudicare, per rimanere coinvolti in un percorso musicale al comincio di una vita seconda. Rimandare tutto a un domani più o meno lontano. È questa l’unica cosa – ma fondamentale nella nostra esistenza – che possiamo riconoscere agli Scisma: il loro, come il nostro, essere padroni mancati del tempo, figure sottomesse ai fenomeni del cambiamento e del ripensamento: perché non siamo sirene legate ad un palo, non guardiamo sempre avanti mossi dalle acque del mare; ma siamo uomini.
Come un salto nel vuoto,
Come danza nel fuoco,
Come un sogno infinito.