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22/01/2016 | Mescal | perturbazione.com |
A quasi tre anni dal loro ultimo lavoro, Musica X, i Perturbazione tornano con il nuovo “Le Storie che ci raccontiamo“. Dopo l’uscita dalla band di Elena Diana (violoncello) e Gigi Giancusi (chitarra), la band conferma di aver ancora molto da dire, evolvendosi musicalmente. C’è mola Inghilterra in questo nuovo album. Non a caso hanno scelto proprio la patria del fish’n’chips per registrarlo, mentre a produrlo è stato Tommaso Colliva — ultimamente al lavoro per i Muse, ma in passato ha prodotto gente come: Calibro 35, Afterhours e Ministri.
Non stupisca dunque un suono contaminato dall’ elettronica e dalle sonorità pop curate. Inoltre il disco si avvale di alune collaborazioni musicali importanti, come quella al pianoforte di Massimo Martellotta (Calibro 35).
Dieci tracce in tutto per un album che fila all’ascolto e risulta da subito molto ballabile. Ecco, forse è proprio questo l’album che più può avvicinarli al grande pubblico (se mai fosse questa l’intenzione), presentandosi fruibile anche per il neofita della band. Alcune tracce in particolare, risultano infatti digeribili fin da subito. Come “Everest” (impreziosita dalla voce del rapper Ghemon): una canzone che con voluta leggerezza racconta il segreto della felicità — come se quel “sorridi alla paura e la paura passerà” fosse facile da realizzare. Oppure “Ti aspettavo già” — narrazione di una storia d’amore vissuta tra attese ed illusioni, capace di esprimere tutto il pathos insito negli amori sofferti. Mentre “Trentenni” racconta di una generazione che tra amori finiti e delusioni cerca di rimettersi in gioco. Insomma, melodie spensierate, ed una voce, quella di Tommaso Cerasuolo, come marchio di fabbrica.
Il fulcro dell’album rimanda a quelle storie di vita che possono essere comuni a molti: dove spesso si tratta di vicende amorose, ma nello specifico di incontri o di separazioni. Uno spaccato sulla realtà fatto di mille esistenze, cercando di coglierne un’unica immagine rappresentativa.
Le storie che ci raccontiamo, è anche il titolo del brano che chiude il disco, dove si allude al divario tra ciò che siamo e cioè che ci raccontiamo di essere. Perdendo a volte il senso della realtà. Ciò che resta è l’identità che ognuno si cuce addosso, con cui si presenta al mondo. Identità a confronto, come in “Cara Rubrica del Cuore” (col contributo vocale di Andrea Mirò), dove una voce timida confessa di aver barato: di aver usato la foto di un altro per incontrare l’anima gemella in un sito per persone sole. Il paradosso verte sulla dinamica dei nostri tempi e su come sia facile aprirsi al mondo ma da dietro ad un monitor, si ma quale “me stesso” si racconta su quella tastiera?
In realtà la soluzione ci era stata fronita in apertura con quel manifesto sull’autodeterminazione che è “Dipende da te” (che è anche il primo singolo estratto dall’album): un invito alla presa di coscienza, un monito ad impegnarsi per quel che si può, perché:
“Ci sono cose che non puoi decidere, ma non è deciso che per questo tu sei inutile”.