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16/10/2015 | Bindrune | bandcamp |
Austin Lunn è la mente creativa che si cela dietro l’ormai non più misterioso moniker Panopticon: un progetto blackmetal americano che affonda le radici in quel sottoinsieme catalogabile come cascadian. Parliamo di un metal estremo, tendenzialmente ritualistico, nel quale la batteria opera principalmente per continui blast-beat alla ricerca di quello stato di trance puntualmente interrotto da lunghe e profonde rullate di matrice hardcore. Le chitarre giocano un ruolo da co-protagonista, creando un wall of sound che ricorda il fragore delle cascate situate nelle zone boschive del nord America.
La particolarità che distingue questo genere estremo è rappresentata da un netto distacco nei confronti del black metal di scuola europea — quello che fece furore negli anni ’90. Guidato ormai da ragazzi pressoché trentenni, il genere rifiuta così tutti quei cliché a sfondo elitario, nichilista e misantropo, nei quali i sedicenni di una volta sguazzavano. Gli ascoltatori non perfettamente inseriti nel tema, avranno sicuramente sentito parlare degli Agalloch o dei Wolves in the Throne Room. Ecco, queste band sono la punta dell’iceberg di una specie di confraternita (Skagos, Addaura, Echtra, Alda, Ash Borer … ) che si muove attorno agli stessi stilemi musicali descritti sopra e che, in linea di massima, abbracciano ideali come il rispetto per la natura, e la fuga dalle metropoli. A livello sociale, i componenti di queste band, hanno frequentato sia i concerti metal che i centri sociali mentre a livello musicale hanno preso tanto dalla musica estrema quanto dal folk.
Panopticon ha segnato il traguardo del sesto album e questo “Autumn Eternal” sancisce la fine di una trilogia iniziata con “Kentucky” e proseguita con “Roads to the North”. Una triologia caratterizzata dalla destabilizzante scelta di inserire intermezzi bluegrass all’interno di terrificanti partiture black metal. Anche il folk, che spesso emerge sornione, denota punte agrodolci e malinconiche, enfatizzate dall’armonica. Austin, in questo percorso suddiviso in tre atti, ha voluto evidenziare le problematiche del lavoro in miniera, criticando il proprio governo per lo sfruttamento, negli anni, del territorio e per le condizioni di lavoro alla quale sottostavano gli operai.
La sua musica è sempre stata manifesto politico e contemporaneamente inno alla natura più selvaggia — quella del bacino dei grandi laghi e della Norvegia, nella quale il nostro soggetto ha lavorato spesso. “Autumn Eternal” rappresenta un lavoro di redenzione; della trilogia è l’album più violento e diretto; le influenze bluegrass sono quasi scomparse e ritagliate unicamente nella traccia di apertura. Con i brani seguenti ci troviamo di fronte ad un perfetto mix fra i già citati WITTR, Burzum e Ulver con sprazzi di Abemix e Horseback. La redenzione si avverte fra i rintocchi di pianoforte sul finale di “Into the North Woods”, mentre il lavoro di tessitura della trama chitarristica (a volte si contano perfino 4 chitarre) da il meglio di sé quando lascia emergere quei taglienti soliloqui sempre a metà strada fra dissonanza e melodia, servendosi dell’armonica a bocca durante le sonate bluegrass. L’uso dei violini in “Sleep to the Sound of the Waves Crushing” trasla il lavoro all’interno di un panorama folkloristico che unisce idealmente tradizioni celtico-vichinghe a scale armoniche appartenenti al nord America: stupefacente la gravosa sinfonia che viene risucchiata nei gorghi più estremi alla fine della traccia. Ancora degne di nota sono la lunghissima “A Superior Lament”, nella quale emerge tutto il background hardcore di Lund, e la conclusiva “The Wind’s Farewell” nella quale assistiamo allo scaltro connubio fra blackmetal e post-rock.
Panopticon è il capro espiatorio su cui soffermarsi a proposito del cambiamento concettuale di un genere musicale che è nato come manifesto di una ribellione, circoscritta a una particolare regione geografica, e che si è trasformato e ben adattato a manifesto di una più vasta e universale protesta collettiva.