Yoko Ono – Yes, I’m Witch Too

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Non è assolutamente facile parlare di Yoko Ono artista. E i motivi sono tanti: anzitutto il peso dell’essere la vedova Lennon o la dark lady che ha mandato al macero l’esperienza beatlesiana è una spada di Damocle sulla sua anima. In realtà il motivo è ben diverso, e cioè che Yoko Ono è stata una grandissima artista concettuale che però aveva raggiunto il suo picco creativo già negli anni antecedenti l’incontro con John Lennon. Ricordiamo quanto, il suo libro di scritti “Grapefruit“, sia stata la principale fonte di ispirazione per la scrittura di Imagine. Ma a parte questo la Yoko Ono artista passa per essere una musicista quando in realtà è qualcosa di più.

Ricorderò sempre il racconto con il quale John Lennon descrisse il suo primo incontro con Yoko Ono. Fu ad una mostra personale dell’artista giapponese. Nel sala, c’era una scala che conduceva ad una botola, e Lennon fu l’unico dei visitatori che vi salì: dando un senso compiuto all’opera concettuale. Così Yoko va intesa anche quando pubblica un disco come questo, che in realtà è il prosieguo di album quasi omonimo del 2007  – che vedeva la partecipazione di artisti quali Cat Power e Peaches. In questo caso a cimentarsi sono: Cibo Matto, Death Cab For Cuties e Danny Tanaglia. Non è tanto il risultato, che tra l’altro pare assai più malinconico rispetto al precedente – vedi Walking on Thin Ice –, ma la concettualità di fondo ad essere interessante: quella che le permette di essere apprezzata da molti artisti contemporanei come monumento vivente dell’avanguardia.

Probabilmente meno creativa di una Laurie Anderson, ma probabilmente più fedele agli ideali ispiratori della sua gioventù. Questo ha reso a suo modo l’artista giapponese un’icona della purezza intellettuale, che forse è proprio lo stesso aspetto colpì l’ex Beatles quando salì su quella scala in un grigio tranquillo pomeriggio londinese.