Mogwai – Atomic

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Non nuovi alle sonorizzazioni filmiche e alle colonne sonore (Les Revenants, Zidane: a 21st Century Portrait) i Mogwai tornano a cimentarsi con le opere visive e per questo nuovo album “Atomic” rivisitano e rileggono ciò che avevano partorito per il documentario di Marc Cousins “Storyville-Atomic: Living in Dread and Promise” andato in onda per BBC Four, una sorta di storia cronologica nuda e cruda dei disastri nucleari. Di certo la musica della band scozzese ben si presta a soluzioni immaginifiche e atmosferiche, e anche con questo “Atomic” il risultato è tutt’altro che fallimentare, ma più che di un vero e proprio full-lenght tecnicamente si tratta di una colonna sonora, imprescindibilmente legata all’opera di Marc Cousins, una sequenza di immagini visivamente potenti prive di una qualsivoglia narrazione e di testimonianze e interviste. Sotto questo aspetto si potrebbe azzardare persino un parallelismo fra la musica dei Mogwai e lo stile documentaristico scelto, potentemente evocativo ed emozionale, in cui è il potere visivo più che la narrazione, ad essere capace di comunicare allo spettatore, così come accade per la musica dei Mogwai, manipolata secondo schemi che trascendono qualsiasi racconto di sé.

Costruito interamente su filmati di repertorio, e concentrandosi tanto sulla meraviglia scientifica della fusione nucleare quanto sull’ apocalittico pericolo della Guerra Fredda,  il documentario si rivela così essere un fertile catalizzatore per i post-rockers di Glasgow, che mescolano la trazione d’assalto del rock all’azione meditativa della drone-music, dando vita a una apocalittica tensione musicale da incubo post-moderno. Atomic si apre con la fanfara sinfonica di Ether, brano dall’epos malinconico in cui si palesano i contrasti strutturali tipici di Braithwaite e soci, che giocano spesso sulle dicotomie fra suoni, in un accumulo di energia segnato dalla ripetizione incessante di alcuni strumenti dalla valenza ipnotica, qui dal sapore quasi marziale. Una marcia funebre suonata da Bitterness Centrifughe, che sembra scandire un rintocco inquietante e inesorabile all’umanità. C’è in generale un ampliarsi delle sonorità new wave (“U-235”, “Weak Force”, “Little Boy”) che prendono il sopravvento sulle progressioni chitarristiche e sulle atmosfere più dilatate. Rimangono presenti brani maggiormente evocativi e compiuti come i bellissimi “Are You A Dancer?” o “Tzar”, ma nel complesso Atomic è un disco che non regala grosse sorprese e che va legato indissolubilmente alla materia per cui è stato creato.

Ce lo ricorda anche il brano conclusivo, “Fat Man” (dal nome della bomba sganciata a Nagasaki) che ci fa ripiombare nei plumbei scenari post-atomici del documentario: noi alla fine siamo andati a vedercelo per intero, e in quel contesto la musica dei Mogwai si riappropria di tutta la sua potenza, quasi non possa viverne senza. Probabilmente non è così, Atomic può vivere anche di vita propria, ma quando la musica ha la funzione di tappeto sonoro a delle immagini che testimoniano, allo stesso tempo, l’apice d’innovazione dell’umanità e la sua stessa distruzione di massa, allora forse non è così inconcepibile che le visioni (questa volta, reali) siano così potenti che i suoni non riescano a figurarle. Nonostante la conclamata maestria di una classic-band come i Mogwai.