Junior Sprea – Controtendenza

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Si avvicina l’estate. E presto le nostre città saranno invase da un’insaziabile voglia di reggae. Sta arrivando il tempo dei sandali, delle magliette di Bob Marley, dei cannoni in riva al mare (che potrebbe anche suonare ambiguo). E se anche voi, come il nostro Junior Sprea, vedete nel ritmo in levare il collante aggregativo ideale per fare festa, per unire le genti, e per spegnere i conflitti senza spegnere il cervello, lasciatevi incantare da questo reggae “Controtendenza”, che sa di battiti elettronici misti alla salsedine, che sa di cortei da Piazza Esedra fino a Piazza del Popolo, di centro sociale e di celerini, di Villa Ada e di Salento, di Zoro e di tamorra, di Africa Unite e Jamaica Style, di Sud Sound System e di World Wide Web. Se anche voi amate tutto questo, se anche voi ci state dentro, quest’estate saprete di che ballare.

Un attimo però. Qui si balla, ma si pensa pure. E infatti il milanese Junior Sprea, in queste dodici canzoni, raggruma una serie di capisaldi del moderno cantautorato engagé (che termine desueto), insieme a tutti i luoghi comuni del lirismo più sciallo. E allora di nuovo il Salento, e il sud, e il mare, e il caldo, e il cibo sano, e i legumi, e le ragazze, e la pizzica. Ma poi c’è il lato oscuro, coi suoi antidoti. Quindi il precariato, e il liberismo, e il razzismo, e la mafia, e le mafie, e l’inquinamento, e il G8 di Genova, e la guerra, e le guerre, e la Palestina, e i popoli oppressi, e il ricordo dei partigiani, la solidarietà verso i più deboli, e le guardie che uccidono ragazzi innocenti fermati per una stronzata.  Tutto molto giusto. Tutto degno di attenzione, e soprattutto di memoria (ché è sempre bene tenere a mente di cosa è impastato, a livello storico, questo porcaccio di un mondo infame). Però artisticamente, almeno per il sottoscritto, sorgono dei problemi.

Il primo: si tratta forse di un disco ambizioso, nelle intenzioni. Un disco che vuol alternare divertimento e spirito impegnato. Fra realismo e nuvole. Fra sogno e quarantena. Ma l’inserto di tematiche sociali dure, spesso lanciate nel flusso di parole come ami da pesca, finisce col risultare posticcio, forzato. E fa somigliare i testi ad un lungo elenco di cose, proprio come sopra. Certo, la musica ha bisogno di contenuti, e di ami da pesca per i morti a galla della coscienza occidentale. Ma poteva essere fatto meglio. Doveva essere fatto meglio. E in un caso, in un episodio del disco, l’impresa riesce (“Kilometro Quadrato”).

Poi, il secondo problema: il disco propone una manciata consistente di brani solari, qui e là intervallati da pezzi più aggressivi, dove l’elettronica si fa più nera e gli piglia una sincope. Amalgama che funziona sul piano meramente uditivo, ma meno sul piano estetico. Nel senso che paradossalmente le canzoni  incazzate risultano più piacevoli e coinvolgenti di quelle allegre. Forse semplicemente perché sono più belle (di nuovo, “Kilometro Quadrato”). Va segnalato, inoltre, che la parte strumentale è quasi tutta opera di Bonnot, dj e producer di lunga esperienza, già al lavoro con gli Assalti Frontali.

E poi, e poi, e poi. E poi ci sono le collaborazioni: i Punkreas (“Cronache di una marmotta”), i Vallanzaska (“Carovana”), e Gioman (“Fino a che non sorge il sole”). C’è una hit che promette di far furore nelle spiagge di mezza Italia (“Emigro al Sud”). E c’è tutta un’enciclopedia di cose già dette, e di temi già visitati, per non dire abusati (la danza di ogni razza, la fattanza, la paranza, e così via …). Ma soprattutto c’è lui: Michele Spreafico, in arte Junior Sprea, qui alla seconda prova, dopo “Voce” del 2011. Il ragazzo non canta male, e può ancora sorprenderci con un colpo di scena discografico, se solo si affrancherà da certi cliché. Il tempo è dalla sua.

Quanto a voi, se amate certi cliché, amerete alla follia anche questo album. Ché tanto, si sa, i gusti son gusti e buonanotte al secchio. Perciò ballate, riflettete sul mondo, e poi sciallatevi. Possibilmente, con un sorriso in levare.