The Temper Trap – Thick As Thieves

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Oggi noi di Rocklab non vogliamo tirarla molto per le lunghe. Fuori ci sono città che vivono. I Blonde Redhead, i Notwist, gli A.R. Kane da incontrare sui palchi di tutta Italia e quanto si suda ad aver sulla testa cuffie semiaperte della AKG. Gli occhi già infuocati dal troppo tempo libero speso guardando schermi illuminati non riescono più a muoversi con la stessa agilità schizofrenica che gli era assicurata da una certa frescura dimenticata. Leggere e scrivere diventano causa d’affanno intellettuale, e non vorremmo stancarvi. Sì, stiamo rubando tempo alla recensione. Ci sentiamo un po’ meschini a dirlo ma ci sembra un giusto atto vendicativo nei confronti di chi dovrebbe essere soggetto indiscusso di queste righe. Proviamo a essere meno rancorosi e buttiamoci dentro Thick as Thieves.

Con l’omonima uscita del 2012, loro album sophomore, i The Temper Trap avevano firmato il disco del loro successo. Curato, tirato a lucido e dalle influenze – che alcuni hanno rintracciato in quell’oscura area musicale (della quale noi non vogliamo sapere nulla) situata tra U2 e Coldplay – ben gestite. Poi sono arrivati alcuni problemi nella formazione e i nostri amici australiani si ritrovarono con un membro in meno: Lorenzo Sillitto.

It was a nice break-up, if we can put it that way. He was moving on to another stage in his life. We’ve all been friends for so long; Lorenzo and I have been since we were 12, so we’re still really close and we still hang out a lot.

La prima chitarra lascia quindi il gruppo, il quale, però, non sembra accusare molto il colpo, né a livello emotivo né a livello sonoro. Joseph Greer, tastierista versatile, si dedica con passione alla chitarra e colma i vuoti lasciati dal membro precedente. Senza togliere, senza aggiungere. Potremmo dire la necessità ha ucciso l’originalità e la scelta di comodo è funzionale per quanto impersonale. È difficile trovare delle differenze tra il tocco di Joseph e quello di Lorenzo.

So Joseph has stepped up to the plate massively and started practicing guitar for 8 hours a day, every day.

Come per molti di questi gruppi alternativi che dominano le classifiche di Billboard l’inutilità dell’accattivante lascia perplessi. Le prime note reggono l’interesse per una decina di secondi (Thick as Thieves), alle volte invece strofe intere sembrano costruite con criterio (Tombstone e il suo primo minuto cantato come se ci fosse Kurt Vile dietro al microfono). Tuttavia c’è sempre il ritornello a rovinare tutto. In questo ci vedo molto dei The Killers. Gruppo interessante che tende a praticare il suicidio in stile Mission Impossible: dopo massimo trenta secondi questa canzone tenderà ad autodistruggersi. E riallacciarsi ai The Killers non è nemmeno così imprevedibile. Thick as Thieves è stato infatti prodotto da Damian Taylor, che in passato ha già lavorato (producendo, missando o componendo) con i Braids, Architecture in Helsinki, Owen Pallett, Björk, Arcade Fire e dei The Killers ha prodotto Battle Born e Direct Hits.

L’unica cosa verso la quale sentiamo di poter spendere qualche parola positiva riguardo questo disco è la copertina. Rientra sempre in quel filone estetico Billboard ma è comunque una fotografia meritevole e con una storia dietro:

Johnny actually took that photo about three years ago of some kids that lived on his street. They were walking down the street on Halloween and he snapped a couple of shots of these kids with his iPhone. When we thinking of the artwork for the cover, we remembered that shot. It’s quite a striking image.

Poi però quando decisero di utilizzare questa foto, ci misero del tempo per ritrovare i ragazzi e chiedere loro e ai loro genitori i diritti per l’utilizzo dell’immagine. Johnny si era trasferito e ricordava solamente che questi ragazzi vivevano in una casa con un portone rosso lungo una strada di cui fortunatamente ricordava il nome. Quindi andarono, portone dopo portone, alla ricerca di questi ragazzi e alla fine riuscirono a trovarli.