Tutto può succedere. E accade anche che Gabriele Biondi, “Rata” dei Casino Royale (tromba, melodica e percussioni dal 1994) decida di fare un disco, raccogliendo numerosi spunti e bozze buttate giù durante l’ultimo tour della band. Un disco che ha preso forma insieme a Geppi Cuscito, anche lui nella formazione da alcuni anni. Il progetto a cui hanno dato vita si chiama Ratlock, un progetto fortemente voluto: personale, schietto, imperfetto, e allo stesso tempo molto contaminato, ricco di riferimenti. “TUTTO VERO!” (RatRecords 2016) il titolo dell’album: con l’accento di Sandinista! dei Clash, riferimento che Rata dichiara già nella presentazione del disco. Una dichiarazione stilistica, che rivela da subito la sua natura meticcia e la volontà di non abdicare alle leggi di mercato imperanti – e la scelta più che sovversiva ai giorni nostri della release solo su vinile ne rimarca il concetto. Un disco che non si pone alcuna velleità se non quella di esistere, di trasmettere il proprio immaginario, tra il battere e il levare. Così in questo lavoro si incontrano scenari che passano dal Dub al Funk “bianco” dei The Pop Group attraversando atmosfere Trip Hop e melodie dal sapore tipicamente Soul, sempre in bilico, sempre in equilibrio. L’incedere dei brani è scandito da un cantato, quello di Rata, incisivo e poco addomesticato che racconta immagini, pensieri istantanei e a più riprese fa pensare allo spoken word all’inglese. Parole che acquistano significato e colore reagendo alla melodia e al ritmo, in dieci tracce efficaci, che lasciano un sapore (semplicemente) Punk.
Come si è svolta la genesi di questo disco?
Rata: Qualche anno fa, dopo la fine dell’ultimo tour dei Casino Royale ho vissuto per un periodo all’isola d’Elba da solo e lì ho iniziato a dare una forma ad alcune tracce e alcuni spunti che avevo buttato giù con Geppi durante il tour. Immaginati l’isola d’Elba d’inverno… dalle 5 del pomeriggio non c’era già più anima viva per strada. Di giorno lavoravo e la sera, non avendo diversivi, a casa con i miei strumenti buttavo giù idee, testi, suonavo, quindi avendo terminato il tour ho pensato con Geppi di dare una forma a questi stimoli. Gli mandavo tutti i provini e ci si confrontava, spesso tornavo a Milano e insieme arrangiavamo il materiale. Grazie a questo lavoro con lui arrivavano nuove ispirazioni e così siamo arrivati a concepire il disco. Tra noi si è creata un’alchimia speciale che mi ha permesso con lui di dare forme nuove, di far crescere il progetto, a cui hanno in seguito preso parte anche altri amici, chi suonando uno strumento, chi recitando i propri testi. Si tratta di persone a cui sono legato da amicizie profonde, ho voluto fortemente che prendessero parte a questo progetto.
A proposito di questa pluralità di voci, nonostante il progetto sia partito da te queste collaborazioni dimostrano una comunione di intenti che attraversa tutto il disco, e che lo rende piuttosto fluido nei contenuti, nell’attitudine, come se in realtà si trattasse di una band. La traccia finale, “Crinali fotonici dell’istantaneità” potrebbe esserne il manifesto.
Rata: Si tratta di un messaggio, una nota vocale di WhatsApp, che ho ricevuto una mattina da un’amico. Era un momento mio piuttosto particolare, e lui, come altri amici, spesso mi chiamava per starmi vicino. Mi colpì che così, di prima mattina, avesse potuto buttare giù in freestyle una cosa del genere, magari appena sveglio seduto sul water… Sembra un vero e proprio testo, e invece era una cosa spontanea, che gli è uscita così. L’abbiamo scelta come ultima traccia perché, anche se non c’è una nota di musica, lui con le parole crea un arrangiamento perfetto, e racchiude un pò tutto, anche il titolo del disco. Ha una voce molto musicale, le parole gli escono con un bel suono: è questione di pulsazioni, è questione di come dirle, pronunciarle le parole. Marco Cremaschi, che canta nelle due “Sharade” e “Punk In Panico“, venne in studio con i suoi testi che poi abbiamo aggiustato e messo in musica assieme. Trovo molto d’effetto quello che scrive, ha un modo di esprimersi molto più articolato del mio. Non che il mio modo di scrivere non mi piaccia, ma il mio approccio parte sempre da delle immagini, immagini che non sono molto bravo a descrivere. Preferisco metterle in parola così come mi vengono, per poi solo dopo, rileggendole, plasmarle attraverso la musica, capire che cosa volevo dire, interpretando e cercando una forma definitiva. Mi rendo conto di non avere un modo di scrivere cantautorale, non mi fermo a raccontare, a spiegare, non c’è una storia con inizio-centro-fine.
Tra noi si parla la stessa lingua, ed è stato come se ognuno di noi avesse fatto un salto, ma tutti assieme, attraverso la passione per i suoni che amiamo, e credo avessimo sentimenti comuni da tirare fuori. Contemporaneamente, per come gira ora la musica, è molto complicato anche solo potersi concedere il lusso di provare a portare il progetto in giro per qualche data senza rimetterci. Sarebbe bello riuscire a formulare un live che dia valore, senso e rispetto al lavoro fatto ma è difficile, volendo coinvolgere ogni persona che ha contribuito al disco. La dimensione del live resta sempre molto importante, ma a questa età conciliare le vite di ognuno di noi in funzione di un tour non è certo come venti anni fa.
In Italia cosa comporta non vivere di musica ma restare un musicista?
Rata: A quarant’anni ci sono il lavoro, la famiglia, i figli, le responsabilità e il tempo è molto meno, certo rispetto a prima c’è l’esperienza, perché sono tanti anni che si suona, ma il fatto è che, in sostanza, non molli perché accetti di essere un egoista nato, e per la musica sacrifichi. Ognuno è fragile a modo suo, ognuno fa le proprie rinunce, ma certo la musica è un po’ come firmare un contratto da egoista a vita. Se di giorno lavori perché di musica non campi, quando puoi ritagliarti un momento per concentrarti, scrivere, suonare, metterti le cuffie? Di notte. E quindi a letto tardi, e il giorno dopo si lavora, a pezzi. È un po’ un modo sano per continuare a fare rock’n’roll, forse… è inutile, di notte senti delle cose che di giorno non senti.
La scintilla e la benzina è proprio l’odio/amore, questo contrasto che c’è sempre stato, anche quando facevi solo musica, anche quando era la tua unica occupazione. A quarant’anni non ho velleità di inventarmi chissà cosa, per me è importante essere qui a parlarne con te. Certo, se hai creato qualcosa credendoci è normale che tu voglia portarla fuori, ma per me è già tantissimo che possa arrivare a chi vuole sentirla. Per questo ho scelto di produrre il disco solo in vinile, per ripartire da capo, dal primo approccio, nel trasmettere la mia musica ad altre persone.
Rinunci a tanto, ma poi arriva l’alchimia con il compagno con cui crei musica, o con quello che ascolta il tuo lavoro, e questo ripaga tante cose. Prima sei giovane e hai più tempo, e per forza di cose ne butti via tanto. Certo è che ora se vuoi una cosa la vuoi in maniera più vera, e quando vuoi chiudere un pezzo o ne hai uno nuovo da buttar giù non vedi l’ora di andare in studio per suonarlo insieme a Geppi e dargli forma. Hai un focus diverso, con tutta un’altra concentrazione, diventi un samurai.
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