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10 Marzo 2017 | Fuzz Club | bandcamp | ![]() |
Non è così inusuale, specie dall’inizio del nuovo decennio, assistere ad un approccio stilistico trasversale da parte delle formazioni underground. Dal plauso unanime, che ha accolto i mutamenti compositivi di band come i The Horrors (solo un esempio) – passati dal Garage in stile Nuggets allo Shoegaze, per poi infilarsi di testa nelle derive Post-Punk – si è generata lentamente una convinzione poggiante sul concetto di “estetica universale”: uno e tutti, i generi – a seconda dell’ispirazione.
Sebbene la qualità spesso non sia in discussione, ed in molti casi si tratta di mutazioni interne votate ad uno scatto evolutivo in direzione limitrofa (di genere), spesso le nuove caratteristiche tanto ammaliano quanto potrebbero diluire. Probabilmente è solo il risultato della frenesia che accompagna i nostri tempi, e degli input costanti che permettono ad utenza e musicisti di potersi cimentare con un percorso più esteso – magari libero nel prodigarsi, da un assunto Psych, in direzione Wave: consolidandosi o tenendosi pronto per il processo successivo.
Forse, alla luce dei fatti, per chi ascolta e chi compone risulta in molti casi riduttivo prendere in considerazione quel concetto di crescita fondato sull’approfondimento del genere di riferimento primigenio: fulcro da cui espandersi all’interno di un microcosmo dalle soluzioni pressoché infinite. Processo tanto vecchio quanto efficace, soprattutto nell’evidenziare la profondità e la passione della band di turno nei confronti della materia in oggetto. Non è questione di Skills, ed il marketing ci insegna che la propria nicchia è fondamentale per crearsi un pubblico di aficionados veri, di contro si potrebbe obiettare portando alla sbarra la volubilità insita nella libera ispirazione. Anche se non è di marketing che si discute, ovviamente.
Resta il fatto che per quanto riguarda il progetto Sonic Jesus, le cose si traducono in maniera leggermente diversa. La band poggia fortemente sulla creatività del proprio fondatore (Tiziano Veronese), che nel tempo si è costruito tutta una serie di collaborazioni esterne poggianti sulla necessità del momento o appunto sull’ispirazione. Quindi l’umoralità che caratterizza questo nuovo episodio è probabilmente da tradurre con un approccio direttamente personale alla scrittura. I Sonic Jesus sono Tiziano, e viceversa.
Se leggiamo la faccenda da questo punto di vista possiamo comprendere l’abbandono delle chitarre nerborute in favore del classico basso metronomo di natura Dark-Wave; ed il fatto che il nuovo lavoro sia stato concepito in primavera piuttosto che in inverno la dice lunga sulle motivazioni di rinascita – tutte scelte capaci d’influenzare l’anima del singolo compositore.
Per quanto nel 2017 risulti altrettanto ovvia l’impossibilità di rivolgersi seriamente al concetto d’innovazione, non rappresenta un ostacolo smarcarsi mediante un approccio definito, costante. Benché la riconoscibilità si proponga da tempi immemori come valore aggiunto, non possiamo inversamente pensare ad essa come termine totalmente inscindibile.
Ecco spiegato il passaggio dal fuoco alla grazia, dal Bernini – la cover del precedente “Neither Virtue Nor Anger” presentava una rivisitazione de “L’Estasi di Santa Teresa” – alle geometrie di Emanuele Manco: grande esploratore d’architettura minimalista e geometria urbanistica. Dalla Psichedelia spessa contenuta nel singolo in compagnia dei Black Angels (risalente al 2014), alle linee Indie-Wave che abbracciano i primissimi The National/Interpol (“I’m In Grace“). Il salto è chiaramente olimpionico.
Ripensare oggi al delirio allucinogeno di brani incendiari come “Reich” – e la sua deriva sixties drogata, riconducibile alle pozioni velenose degli Spacemen 3 – un minimo di disorientamento lo porta. Non che nell’esordio certe finissime linee oscure non potessero far presagire un passaggio di consegne, certo non così netto. La sfida è di quelle da dentro o fuori: e noi apprezziamo il coraggio. Per il resto, solo il tempo potrà dirci se il rischio varrà il plauso dei fan.




