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3 marzo 2017 | sacred bones | Sacredbones.com | ![]() |
Che i Fuck Buttons rappresentassero un tassello importante all’interno del mosaico Britannico, se ne accorsero anche i direttori artistici delle Olimpiadi di cinque anni fa (2012), che li scelsero per far parte della corona di artisti preposti a musicare l’evento – in compagnia di gente del calibro di David Bowie, Pet Shop Boys e Arctic Monkeys. Della partita fu anche un inedito proveniente direttamente dal side project di Benjamin John Power – una metà del duo Fuck Buttons, l’altra è rappresentata da Andrew Hung – già all’esordio l’anno precedente con l’album omonimo a firma Blanck Mass.
Benjamin, è sempre stato un amante dei Mogwai e delle colonne sonore; il suo debutto esce per la Rock Action records, mentre i lavori successivi verranno rilasciati dall’oscura e trasversale Sacred Bones records, perfino quest’ultimo “World Eater”.
Il terzo lavoro dell’artista inglese manifesta fin da subito una certa unione dicotomica fra progressione e sovrapposizioni di strati post-rock – qui uniti ad un amore per i synth quasi retrò. I rumorismi carnevaleschi della traccia d’apertura, si fondono con backwards vocali e chitarristici capaci di proiettare l’ascoltatore nella caotica mareggiata di “Rhesus Negative”. Ed è qui che si assapora appieno tutta la rave culture inglese di fine anni ‘80 e primi anni ‘90: dall’Acid-house alla techno-trance, fino ad arrivare al nu-rave di Chemical Brothers e Underworld. Drum’n’trance e Techno-jungle si rincorrono senza dimenticare il lato Ambient (spaziale) della faccenda, mentre Caldi e melodiosi synth ammantano il tutto di un’aura cibernetica; visioni apocalittiche alla Chateau Marmont giocano a tennis con Vangelis.
E dopo la pausa di riflessione dream-drone di “Please”, continuano imperterriti i deliri di una “The Rat” dal sapore Industrial. Trame sintetiche post-apocalittiche si abbracciano di nuovo a questa escalation spaziale che trascende dalla terra per lanciarsi in orbita.
Sebbene talvolta compaiano sample di matrice ludica, l’oscuro presagio rimane dietro l’angolo; come nella prima traccia, così in “Silent Treatment”, dove le voci campionate dapprima destano il fruitore, per poi sbatterlo in un turbinio epico-apocalittico: i Carmina Burana si fondono ai Nine Inch Nails in uno sfondo che può ricordare l’evoluzione contemporanea fra Trap, Post-Dubstep e R’n’B .
L’amore per le colonne sonore emerge puntualmente analizzando il modo in cui Benjamin approccia al synth, giostrando fra arpeggi melodici e industrial noise; poi di nuovo verso lo spazio cosmico più naïf, per approdare a quel deserto paesaggio lunare lambito da misteriosi ma rassicuranti veicoli alieni – la progressione di “Minnesota/Eas Fors/Naked”.
Diverso, eppure ennesimo fiore all’occhiello, quello della conclusiva “Hive Mind”. Un brano che si veste di synth-glitch e di morbide rappresentazioni paesaggistiche: non così estranee alle ultime testimonianze di Bonobo. IDM soft e bilanciata che si distacca dagli incubi appena trascorsi, dove i sample vocali e rispettivi backwards questa volta abbracciano anziché respingere. Se i Fuck Buttons sono il lato felice, ludico e pop-psichedelico, Blanck Mass rappresenta il bad-trip; quella scomposizione atomica di scintille e fuochi fatui che si portano dietro un oblio fatto di fulmini, saette e psy-trance: Armageddon in the dance-floor.
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