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31 Marzo 2017 | Sacred Bones | Bandcamp |
«I don’t think that humans would be very interesting creatures if they didn’t have to struggle at all». Così Pharmakon, ovvero l’inesistente Margaret Chardiet, chiude un’intervista condotta in occasione dell’uscita di Abandon. Oggi quella affermazione la sentiamo risuonare in ogni singolo minuto dei suoi lavori, in ogni gesto delle sue esibizioni dal vivo – estreme nel corrompere l’idea di concerto come dicotomia tra artista ed ascoltatore. Si cerca la vicinanza, invece; proposito che sembra coerente con l’idea portata avanti da dischi come Bestial Burden. La carne è un peso e questo peso va annientato nella comunione dei corpi. Un’esibizione viscerale, quindi, bestiale, trascendentale per quanto possibile. Il corpo, la pelle, il sangue sono elementi con cui Pharmakon si scontra da lungo tempo ormai, anche se da prospettive differenti. Infatti, Bestial Burden e il nuovo Contact «are the two opposite sides of the same spectrum. The spectrum being the human experience of the body».
Ci sono due possibili modi di vedere la conciliazione, presente o mancata, della mente con il corpo. Da una parte il corpo può essere visto come il contenitore della mente (e tutto ciò che contiene allo stesso tempo limita); ma d’altra parte, è anche vero, che ciò che ci contiene pone anche i limiti su cui sfoderare la possibilità della trascendenza, quindi la mente che supera i confini del corpo. E quest’ultima è esattamente la prospettiva di Contact. Sulla cover del disco, il volto di Margaret viene inglobato da mani che cercano il contatto, su un viso che per la prima volta compare, in una sorta di ascesa: prima, con Abandon, abbiamo scoperto le gambe, di fiori e di vermi; poi con Bestial Burden abbiamo intravisto il ventre e il collo ricoperti da organi animali; e finalmente il viso, sudato, nell’ennesima foto scattatale dalla sorella, Jane.
I wanted to incorporate the face for the first time, as it represents the consciousness/sentience, and have it in direct contact with hands as the representation of the body (the portion of our bodies which we most often see – that is, our own experience of our bodies’ subjectivity in the world).
Quello che spaventa di Margaret Chardiet è ciò che più la fortifica, ovvero l’essere cresciuta all’interno della scena industrial newyorkese, fino a diventarne un punto di riferimento molto giovane: del resto il primo lavoro pubblicato eponimo per BloodLust! risale al 2009, quando la nostra musa noise era appena diciassettenne. Da allora il suo rapporto con la musica industrial non è mai mutato. È sempre stato di ispirazione per lei poter vivere quella scena, in una fase tra l’altro decadente. Ma è qui che si formano le nicchie, ed è proprio qui che si cerca di rivitalizzare, aprire, spingere ai confini. Questo è esattamente quello che Pharmakon fa, nel suo essere – traducendo il problematico termine greco – farmaco e veleno della scena. Abandon è stato per molti il viale d’ingresso verso una scena rumorosa e metallica, senza essere per questo un viale meno tortuoso di quello che potrebbero rappresentare i Throbbing Gristle.
La Sacred Bones Records spesso si fa promotrice di vecchie visioni rivestite di nuove aperture culturali, stilistiche e tematiche. Tanto che possiamo vedere in alcuni degli ultimi lavori pubblicati dall’etichetta due filoni che sembrano convergere nella persona di Margaret. Da un lato abbiamo il corpo, percepito come gabbia, come limite e punto di passaggio per la trascendenza; e qui possiamo citare due lavori di Blanck Mass, il progetto solista di Benjamin John Power (Fuck Buttons), ovvero Dumb Flesh (2015) e il recentissimo World Eater. Dall’altro, abbiamo invece il pudore rigettato da Jenny Hval nei suoi lavori Apocalypse, Girl (2015) e Blood Bitch (2016), ambedue incentrati sulla percezione del corpo, delle sue macchie e al contempo delle sue possibilità liriche. Blood Bitch, al di là di una qualsivoglia lettura femminista, è una grande narrazione del corpo femminile nel suo momento mestruale. «I have big dreams/ And blood powers» si canta in Untamed Region. Quindi sia la forza dirompete della carne che la sua debolezza. È esattamente qui che sembra di incontrare la musica empatica di Pharmakon. Che si schiude però al contatto umano, come titolo e copertina esplicitano.
Al di là di queste considerazioni, Pharmakon rappresenta il momento più alto dello sviluppo non solo concettuale del rapporto dell’artista con il corpo, ma anche della consapevolezza raggiunta riguardo lo strumento utilizzato per trascendere questo rapporto, ovvero, necessariamente, la musica. Contact, arriva in chiusura, con il brano No Natural Order, a una delle più riuscite espressioni dell’oppressione corporea, dove respiri ansimanti e grida strozzate concludono la nuova epica industriale, cadenzando l’oscenità sanguigna di chi vuole essere altrove.