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2016 | In The Red |
Attitudine e coerenza, ne avrete sentito parlare spesso all’interno delle nostre pagine. Questo perché reputiamo deprecabile una reinterpretazione “solo” (hai detto niente – Ndr) in assenza di spinta artistica; quell’urgenza (modus operandi) capace di portare gli autori verso una “causa”, un’estetica, dai volti sempre differenti. Passione direte: no è molto di più. Nel mezzo, le dinamiche di una vita vissuta a cesellarne le fattezze, e quelle note, sempre quelle, così magiche. Se non ci credete, andatelo a chiedere ad Hart Gledhill, già frontman dei leggendari The Hunches – di cui vi abbiamo parlato di recente –, uno a cui non manca di certo la furia espressiva.
L’assunto è però da cronaca nera. Già, perché negli ultimi tempi il buon Hart non se l’è passata benissimo. Spesso in ospedale, per assistere il padre in fin di vita, ha passato tante giornate nel tentativo di alleviargli il dolore, magari sintonizzando il televisore sulla partita dei Mets – la sua squadra di baseball del cuore. E fu proprio dopo un lancio portentoso di Bartolo Colon, l’idolo di entrambi, che sentì la forte presa del padre venir meno, per poi raffreddarsi.
Gledhill dirà che l’uscita del debutto omonimo a firma Sleeping Beauties ha rappresentato per lui “un modo per non morire“, oltre, ovviamente, alla maniera ottimale per incanalare la rabbia. Un disco-tributo (al padre scomparso) che vede Gledhill (voce) in compagnia di Rob Enbom e Rod Meyer (chitarra), oltre a Neil Everett (basso) e Chris Biggs (batteria). Tutti, in compagnia dell’ingegnere del suono Justin Higgins, decisi nel mettere a ferro e fuoco l’Old Standard Sound Studio, dopo aver ricevuto il budget adeguato per incidere un disco sotto In the Red Records.
Il risultato è uno sgangherato, selvaggio e grezzissimo esempio di Garage-Rock dalle forti ascendenze Punk. Inoltre, se (come sappiamo) di tributo si tratta, il nostro e la sua band non hanno perso tempo in voli pindarici, andando direttamente al sodo, ovvero agli insegnamenti lasciati in dote: “Abbattere alberi, lanciare palle da baseball ad una velocità supersonica, mollare sonori pugni in faccia e aiutare le persone quando ne hanno più bisogno” – che se ci pensate sembra il bugiardino della Punk-Rock music.
Un calderone furente che mescola il meglio della musica di genere con un’attitudine da kamikaze. Vi basti prendere in esame l’opener “Bobby & Suzy“, nient’altro che Lou Reed ubriaco su un pezzo di Johnny Thunders, o i racconti biblici che fanno da sfondo alle scorribande di certi corrieri della droga – “Merchants of Glue”. Ci sono i New York Dolls dopo una sbandata per il Glam di Marc Bolan ed il Garage sotterraneo dei Count Five in “Meth“, i Rocket From The Tombs in “Slumber Party“, oltre ad una strana manifestazione sonora riconducibile (probabilmente) a dei 13th Floor Elevators senza jug (?) – “Southie“. Insomma, tutto il parco lascivo che intercorre fra le leggendarie esibizioni degli Electric Eels, e lo svacco totale dei Butthole Surfers, qui in salsa Garage.
Se adorate l’autocommiserazione, le stanze vuote e buie in cui masturbarvi sui vostri stessi errori, o vi piace l’approccio passivo, state alla larga dalle Belle Addormentate. Se invece avete cuore, testosterone, un pizzico di follia, e pensate alla Punk attitude come una way of life, allora questa è casa vostra.