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28 luglio 2017 | loma vista recordings | manchesterorchestra |
I Manchester Orchestra sono una band sfuggente. Attivi ormai dal 2004, Andy Hull e compagni hanno sempre galleggiato tra l’assomigliare ad una delle tante formazioni americane di genere (Indie) e il diventare un gruppo dai connotati ben definiti: di cui ricordi più di una manciata di canzoni.
Arrivati alla quinta pubblicazione, i nostri sembrano voler tentare il colpo ad effetto; del resto, i primi passi in tal senso erano già stati mossi con il precedente, e molto Grunge, “COPE”.
Difficile capire se ci siano realmente riusciti.
Qualcosa però è cambiato. Gli anni passano, Andy nel frattempo è diventato padre, le sonorità si sono fatte più corpose e questo “A Black Mile To The Surface” ci offre un’esperienza d’ascolto non così immediata come l’ormai consolidato copione suggerirebbe.
Con l’aumentare degli ascolti, emergono sornioni tutti quei dettagli capaci di particolareggiare (in parte) la struttura di un album che farà sicuramente felici i fedelissimi dell’Indie folk: infarcito di com’è di chitarre spigolose volte a spezzarne l’andatura.
Tutti i brani, ad eccezione di uno solo, sono anticipati dall’articolo “the”, come se ogni canzone rappresentasse una storia, un pezzo del mosaico che sintetizza l’esperienza artistica del gruppo. In quest’ottica, ecco che i riferimenti a gruppi come Fleet Foxes, R.E.M. e anche Manic Street Preachers assumono un altro spessore.
Da un punto di vista musicale “A Black Mile To The Surface” rappresenta un passaggio sicuramente importante nella carriera dei nostri, benché sprovvisto di quei brani capaci di garantirne l’airplay radiofonico.
I Manchester Orchestra riescono però a trasmettere passione e ardore, a fare musica col cuore e di cuore. E a noi basta questo per farci sognare una riva più vicina di quello che sembra.